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Economia
Petrolio sotto i 28$, poi risale. Ma in Messico e Canada si vende a 15$

La rimozione delle sanzioni internazionali nei confronti dell'Iran ha impattato sui prezzi del greggio, con Brent e Wti che trattano stabilmente sotto i 30 dollari al barile ma che al momento stanno registrando meno volatilita' negli scambi rispetto alla mattinata. Immediati anche gli effetti sugli asset russi e sulle Borse dei Paesi del Golfo. Il future sul Brent a marzo guadagna lo 0,07% a 28,96 usd/barile e quello sul Wti, stessa scadenza, perde lo 0,44% a 29,29 usd/barile. Le quotazioni dell'oro nero hanno gia' lasciato sul terreno oltre un quinto del loro valore da inizio anno.

La prospettiva del ritorno dell'Iran sul mercato sta deprimendo i prezzi che, nelle prossime settimane, potrebbero avviarsi verso i 25 dollari al barile. Per alcune qualità di petrolio "pesanti", più difficili da raffinare, i livelli dei prezzi sono già scesi ancora più in basso: è il caso di idrocarburi provenienti da Messico, Venezuela, Canada e Iraq. Alcuni carichi di greggio provenienti dal Messico - riporta l'agenzia Reuters -oramai vengono scambiati a meno di 13 dollari al barile. Nella città canadese di hardisty, in Alberta, la qualità Western Canadian Select viene venduta a 15 dollari al barile laddove il prezzo dovrebbe collocarsi ad almeno 43 dollari per ripagare i costi di estrazione ai produttori.

Gli analisti di Anz Bank spiegano che "probabilmente la strategia dell'Iran per attrarre clienti sara' quella di offrire degli sconti, provocando ulteriori pressioni ribassiste sulle quotazioni nel breve periodo. Il Paese mediorientale, infatti, punta a esportare 500.000 barili di greggio al giorno. "A inizio settimana, i prezzi reagiranno" alle novita' riguardanti l'Iran, commentano gli analisti di Morgan Stanley, puntualizzando pero' che la notizia "era ampiamente attesa dai mercati".

A detta degli esperti, la rimozione delle sanzioni "potrebbe riportare un po' di normalita' e una notevole crescita economica" nel Paese. "Visto che la capacita' di raffinazione e' limitata - proseguono - questa espansione dovrebbe causare un incremento della domanda di benzina e di importazioni che andrebbe, in parte, a compensare l'aumento dell'offerta". Il quadro di lungo periodo, pero', resta piu' incerto visto che Teheran ha bisogno di notevoli investimenti diretti esteri per incrementare il potenziale di produzione. Nel frattempo, il declino dei prezzi del greggio continua a pesare sugli asset della Russia. L'azionario di Mosca sta registrando perdite considerevoli e il rublo si sta indebolendo ulteriormente in scia al nuovo calo dei prezzi che pesa sulle esportazioni del Paese. L'indice Rts e' in calo dell'1,07% mentre il Micex, dopo un apertura al ribasso, guadagna ora lo 0,44%. Il cambio usd/rub e' salito fino a 78,9231, vicino al massimo di 80,1 registrato a dicembre 2014 durante il picco della crisi finanziaria russa. Il cross tratta ora a quota 78,627. A risentire negativamente della prospettiva di un nuovo flusso di greggio in un mercato gia' in sovrapproduzione sono soprattutto le Borse dei Paesi del Golfo Persico.

Il principale benchmark dell'area, il saudita Tadawul All Share Index, ha chiuso domenica con una perdita del 5,4% a 5520.41. In Qatar, il Qe Index ha lasciato sul terreno il 7,2% a 8527.75, mentre il Dubai Financial Market's General Index si e' contratto del 4,6%. In linea anche l'Abu Dhabi Securities Exchanges General Index, che ha perso in chiusura domenica il 4,2% a 3787.40. L'indice iraniano Tedpix ha registrato una chiusura negativa dello 0,47%. "Ci saranno sfide ovvie per l'outlook regionale nel 2016. Le piu' evidenti sono i bassi prezzi del greggio e l'accrescerersi dei conflitti politici" afferma Bassel Khatoun, Cio di Mena equity presso Franklin Templeton Investments.

"Ritengo che la regione del Golfo rimanga ben posizionata per affrontare la caduta dei prezzi del petrolio, data l'ingente quantita' di riserve valutarie estere e il basso livello di debito", commenta pero' l'esperto, aggiungendo che "le valutazioni sono piu' interessanti rispetto ad altri mercati emergenti". Se era stata Riad, sostenuta da Kuwait e Emirati, a decidere di mantenere la produzione invariata per non perdere quote a favore di Usa e Russia, il prezzo del greggio e' arrivato ormai a livelli cosi' bassi da creare problemi anche all'economia del Regno. "Come sapete, il mercato del petrolio ha assistito nella sua lunga storia a periodi di instabilita', drastiche fluttuazioni dei prezzi e cicli petroeconomici: questo e' uno di quelli", ha dichiarato oggi il ministro del Petrolio saudita Ali al-Naimi, "le forze di mercato, cosi' come la cooperazione tra i paesi produttori, porta sempre al ripristino della stabilita ma cio' richiede un po' di tempo".

Al-Naimi, durante una conferenza a Riad, si e' detto comunque "ottimista sul futuro, sul ritorno della stabilita' sui mercati petroliferi globali, il miglioramento dei prezzi e la cooperazione tra i grandi paesi produttori". Nel frattempo Mohammed Bin Hamad Al Rumhy, ministro del Petrolio dell'Oman, ha dichiarato che il Paese "e' pronto a fare di tutto per stabilizzare il mercato", precisando che "sarebbe necessario un taglio tra il 5% e il 10%, con tutti i produttori che dovrebbero fare lo stesso". L'Oman, con una produzione di 1 mln barili al giorno, e' il piu' grande produttore di greggio in Medio Oriente a non fa parte dell'Opec, ma e' privo delle riserve finanziarie dei suoi vicini del Golfo per poter sopravvivere ad un periodo prolungato di bassi prezzi. Infine l'Opec ha rilasciato il bollettino mensile di gennaio, in cui l'Organizzazione petrolifera evidenzia che la domanda di petrolio in eccesso a livello globale e i continui segnali di rallentamento dell'economia cinese stanno mettendo sotto pressione il mercato del greggio.

Nel report si legge che il paniere di riferimento dell'Opec ha perso a dicembre 6,86 usd/barile, attestandosi in media a 33,64 usd/barile. Secondo le stime dell'Opec nel 2016 si dovrebbe registrare un incremento della domanda di 1,7 milioni rispetto al 2015, a 31,6 milioni di barili giornalieri. L'output saudita, in base alle rilevazioni dell'Organizzazione, e' sceso a dicembre a 10,088 mln di barili quotidiani da 10,145 di novembre. Ryiad ha immediatamente commentato il dato affermando che la sua produzione e' rimasta stabile a dicembre a 10,144 barili al di'. L'Opec ha elaborato i dati in base alla revisione al ribasso delle previsioni delle principali istituzioni globali sulla crescita economica mondiale, al 3% dal 3,1% precedente per quest'anno. Per il 2016 le stime rimangono invariate al 3,4%.

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