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Economia
Piazza Affari,100 euro investiti nel 2007 ora ne valgono 81

Piazza Affari non è stata, mediamente, un buon affare per gli investitori negli ultimi 10 anni: chi avesse investito 100 euro in titoli quotati sulla borsa di Milano a fine 2007 oggi se ne ritroverebbe in tasca 81, complici sia performance borsistiche poco brillanti sia i numerosi delisting avvenuti negli ultimi anni che hanno anche inciso sulla capitalizzazione complessiva di Piazza Affari, ridottasi sino a 535 miliardi di euro a fine settembre, tanto che il listino di Milano è scivolato al 19esimo posto tra le prime 20 borse mondiali, davanti solo a Mosca (515 miliardi) ma ormai ad anni luce da Wall Street (che resta prima con 20.925 miliardi di capitalizzazione) e anche in termini di “total return” (performance borsistica rettificata per le cedole distribuite) è penultima in classifica, superando solo il listino portoghese.

Lo rileva un’indagine dell’Area Studi di Mediobanca, secondo la quale a causa della perdita di peso la borsa italiana, che nel 2007 rappresentava l’1,8% della capitalizzazione delle borse mondiali, ora pesa appena lo 0,8%, essendo inoltre sempre meno rappresentativa dell’economia italiana: Piazza Affari, infatti, vale attualmente il 30% del Pil italiano, quando le 20 più grandi borse equivalgono nel loro complesso a poco più dell’intero Pil mondiale e Wall Street arriva a rappresentare 1,22 volte il Pil Usa.

Eccezione, di rilievo, il segmento Star: in questo caso 100 euro investiti nel 2007 sarebbero diventati oggi 292 euro, una performance che pone il segmento alle immediate spalle del listino tecnologico di New York, il Nasdaq (dove 100 euro sarebbero oggi diventati 430 euro) ma davanti a Taiwan (100 euro si sarebbero trasformati in 261 euro) e Copenhagen (da 100 a 238 euro).

Tra i singoli titoli dello Star, il migliore nell’ultimo decennio appare essere stato Reply (100 euro investiti nel 2007 si sarebbero trasformati ad oggi in 1.285 euro), che ha superato Ima (da 100 a 901 euro), La Doria (da 100 a 852 euro), Marr (da 100 a 642 euro), Datalogic (da 100 a 627 euro) e Amplifon (a 100 a 605 euro). Si può tuttavia considerare una “stella” di borsa anche Brembo (da 100 a 713 euro), visto che il titolo è stato quotato sul segmento Star fino a circa due anni fa quando è poi stato promosso sul listino principale grazie a una capitalizzazione che aveva superato il miliardo di euro.

Sul risultato deludente della borsa italiana nel suo complesso ha pesato in invece l’andamento negativo del comparto finanziario, da cui storicamente il listino di Milano è sempre dipeso eccessivamente. Sempre secondo lo studio infatti 100 euro investiti dieci anni fa nelle banche quotate a Milano si sarebbero infatti ridotti, ad oggi, ad appena 27,5 euro, quelli in vestiti nei titoli assicurativi sarebbero calati a 71,6 euro, al contrario di quanto sarebbe accaduto puntando solo sui titoli industriali (che avrebbe visto 100 euro trasformarsi in 130,5 euro).

Ampliando l’orizzonte temporale a 80 anni le cose non cambiano molto: a livello di titoli, anzi solo Generali e Caltagirone sono riusciti sulla lunghissima distanza a battere l’inflazione con un rendimento medio annuo reale dei titoli del leone di Trieste del 14,1% ovvero dell’11,1% nel caso del gruppo capitolino. Visto che su tale periodo l’inflazione italiana è stata in media pari all’8,4%, considerando i corsi secchi (ossia al netto delle cedole) le azioni della compagnia triestina hanno offerto un rendimento medio annuo nominale del 4,2%, quelle del costruttore romano dell’1,2%.

Al contrario dal 2 gennaio 1928 alla fine dello scorso settembre Piazza Affari ha registrato un rendimento nominale annuo del 6,2% annuo, ossia in termini reali ha subito un calo in media del 2,2% all’anno. Insomma: piccola, troppo legata al settore finanziario in un periodo particolarmente poco fortunato per lo stesso (tra crisi mondiali e del credito e tassi sotto zero), poco industriale e ancor meno tecnologica, pur con qualche lodevole eccezione “stellare”: piaccia o non piaccia Piazza Affari è questa e qualcosa vorrà dire. Luca Spoldi

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