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Economia
Pil, le sparate di Renzi. Ora Italia a rischio procedura o manovrina
Ferrari in Borsa

di Andrea Deugeni
twitter11@andreadeugeni

E dire che ci aveva quasi convinti, aiutato, probabilmente, dalle condizioni internazionali da golden age di inizio 2015, come il costo del denaro ai minimi storici e il nuovo quantitative easing della Banca centrale europea, il cambio euro-dollaro in progressiva discesa sui mercati valutari e il rally in picchiata pilotato dall'Opec del prezzo del petrolio. A fine estate (data 30 agosto 2015), con tanto d'intervista rilasciata al Corriere della Sera, il presidente del Consiglio Matteo Renzi, incalzato da Aldo Cazzullo sui motivi di tanto ottimismo profuso dal governo sulla congiuntura a fronte invece di una crescita che appariva ancora fiacca, annunciava: "Vero (che cresciamo poco, ndr). Non mi accontento dello zero virgola, ma vorrei ricordare che i precedenti governi avevano un netto segno “meno”. Adesso siamo al “più”. Cresciamo all’incirca come Francia e Germania: poco, ma finalmente come loro. Negli ultimi anni, invece, mentre loro crescevano noi perdevamo posizioni".

Primo annuncio un po' azzardato. Ma, come se non bastasse, c'è il secondo, arrivato 27 giorni dopo (forse perché nel frattempo Renzi era stato galvanizzato dagli applausi e dai consensi che gli imprenditori e il gotha della finanza tricolore gli hanno riservato nel suo primo intervento a Cernobbio). La platea è quella d'eccezione della settantesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. “Stiamo stupendo il mondo, se l’Italia fa quello che deve fare, siamo più forti di tutti, anche della Germania. Se continueremo a rispettare gli impegni sulle riforme, saremo (il prossimo anno, ndr) la sorpresa d’Europa”. 

Mai annunci furono più forieri (ahime!) di sventura per il nostro Paese. I motivi sono tutti nei numeri. Per il 2015, il responso contabile (dei principali uffici studi e della Commissione europea) smentisce il capo del governo italiano con una crescita del Pil che dovrebbe fermarsi allo 0,8% (rispetto a una revisione aggiornata dello 0,9% a settembre nel Def), meno della metà della crescita della Germania che lo scorso anno, secondo quanto ha certificato l'ufficio federale di statistica tedesco, ci ha più che doppiato con l’1,7% rispetto al 2014 (il sesto aumento consecutivo). E meno male che nel 2015, stando alle parole del premier, crescevamo all'incirca come Berlino. 

Per il 2016, l'anno del profetizzato sorpasso al Paese di Angela Merkel da parte della sorpresa Italia, novella locomotiva d'Europa, la smentita è arrivata stamane da Bruxelles che nelle sue previsioni invernali ha rivisto al ribasso (rispetto alle previsioni autunnali) le stime di crescita del Pil italiano, dal +1,5% (Renzi punta su un +1,6%) al +1,4%. Andamento inferiore non solo alla "superanda" Germania (per la Commissione Berlino crescerà dell'1,8%), ma anche alla media europea (+1,7% Eurolandia e +1,9% quella Ue). Alla faccia del "saremo più forti di tutti" e della "sorpresa" del Vecchio Continente. E dire che con il bottino delle riforme siamo pure a buon punto. 

C'è di più: dopo le sette fatiche di Ercole del governo Monti per portare l'Italia fuori dalla lista dei sorvegliati speciali d'Europa, il nostro Paese, proprio mentre ha ingaggiato un forte braccio di ferro sulla flessibilità da portare a casa per far quadrare la legge di Stabilità da 30 miliardi, rischia d'incappare in una procedura d'infrazione. Bruxelles infatti ha previsto (sempre rispetto alle precedenti stime d'autunno) un peggioramento del rapporto deficit/Pil, in aumento al 2,5% (contro il 2,3% e il 2,4% messo nero su bianco invece dal governo nella lmanovra e comprensivo delle tre diverse clausole di flessibilità - 0,1% per le riforme strutturali, 0,3% per gli investimenti pubblici e 0,2% per la clausola migranti) a cui Padoan e Renzi ritengono di avere diritto. Interlocutori a cui il commissario europeo agli Affari economici Pier Moscovici ha chiesto di aver pazienza fino a maggio, data in cui verrà bollinata la ex-Finanziaria.

Lo scostamento potrebbe costare caro all’Italia: lo 0,2% del Pil vale oltre 3 miliardi e corrisponde esattamente al valore della flessibilità che Palazzo Chigi chiede alla Commissione invocando come giustificazione la “emergenza migranti“. Se a maggio da Bruxelles arriverà un via libera a quella e alle altre clausole, mancherà comunque all’appello uno 0,1% di Pil, cioè circa 1,6 miliardi. Se il verdetto sarà negativo, ballerà invece lo 0,3% del Pil, pari a 4,8 miliardi. Non si può escludere, dunque, una procedura di infrazione. E, mal che vada, ci toccherà una manovrina correttiva da circa un miliardo e mezzo. 

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