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Economia

Il salvataggio della Banca Popolare di Bari torna sul tavolo di Governo e Bankitalia. Lo scrive oggi Repubblica, che racconta che l’incentivo indiretto da 380 milioni già offerto a giugno, con l’emendamento al dl Crescita che trasformava le attività fiscali differite in crediti d’imposta (quindi, capitale) "in casi di aggregazioni di imprese finanziarie e non finanziarie nelle regioni del Sud", scadrà il 31 dicembre ma la banca ancora non ha trovato un partner. E quindi ora si apre la strada dell’operazione salvataggio con il Mediocredito Centrale.

Le Popolari di Ragusa, Puglia e Basilicata, o altre minori in Campania hanno nicchiato respingendo l'offerta di nozze. Lo stallo ha tre spiegazioni. Primo, la natura di banche popolari, dove una testa vale un voto e più che il peso degli azionisti conta l’ego campanilista dei vertici, frena le combinazioni.

Secondo, la Bari non è un buon partito: anni di crediti scadenti hanno fatto iscrivere 420 milioni di perdite nel 2018 e nel 2019 ne verranno altri, poiché al rosso di giugno (73 milioni) si aggiungerà lo sbilancio contabile sulla vendita di circa 1,5 miliardi di altri crediti deteriorati all’Amco (la ex Sga, con cui si negozia). Per questo la dote da 380 milioni non basterà a ripristinare il patrimonio primario barese, da mesi sotto le soglie di vigilanza.  Il terzo motivo per cui una fusione non decolla, conclude Repubblica, riguarda l’assenso di Bce e Commissione Ue, non scontato.

Fonti attive sul dossier stimano che serva mezzo miliardo di capitale alla sola Bari e la cifra raddoppia, per ripianare i crediti deteriorati delle Popolari che finora la snobbano.

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