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Economia
Poste, lo Stato mantiene il controllo. Giorgetti: "La quota Mef vale 4,4mld"
Giancarlo Giorgetti

Privatizzazione Poste, lo Stato resta controllore. Giorgetti: "Nelle prime fasi governo potrebbe fermarsi al 51%"

Un altro tassello si aggiunge al piano di privatizzazioni con il quale il governo Meloni progetterebbe di incassare 21 miliardi di euro entro il 2026. A essere messi in vendita sono alcuni dei “gioielli di famiglia” italiani: da Poste a Eni a Ferrovie dello Stato. Ricordiamo che le prime partecipate di Stato a finire sul mercato saranno le società quotate come Poste Italiane di cui anche il governo Gentiloni aveva immaginato un percorso di cessione. L’obiettivo del governo è di privatizzare una quota tra il 10% e il 20% di Poste Italiane per portare nelle casse dello Stato fino a 2 miliardi e mezzo.

Analogamente, si prevede di privatizzare una parte di Eni, con una vendita fino al 4% della società dopo il completamento del piano di buyback, che scade ad aprile. Ciò potrebbe portare ad un incasso di circa 2 miliardi di euro. Inoltre, si sta considerando l'opzione di introdurre investitori privati nel capitale di Ferrovie dello Stato. In aggiunta, a distanza di circa 4 mesi e mezzo, il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha finalmente deciso di fare un ulteriore passo indietro nel capitale di Monte dei Paschi. Dopo il primo incasso di oltre 900 milioni di euro per il 25% di Mps, ora il Mef si prepara a un nuovo (e molto utile per i traballanti bilanci dello Stato) profitto. 

Il nodo cruciale del piano di privatizzazioni riguarda la questione di Poste Italiane, attualmente detenuta al 64,26% dal tandem Cdp-Mef. La strategia proposta consiste nel diluire la quota di entrambi, pur mantenendo la maggioranza assoluta del 51%. Si prevede quindi la vendita del 13,26% delle azioni, il che, ai valori attuali, corrisponderebbe a circa 1,8 miliardi di euro.

Tuttavia, la privatizzazione di Poste rimane un tema spinoso e oggetto di accese discussioni. L'amministratore delegato Matteo Del Fante e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti sono intervenuti in un'audizione al Senato per discutere del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) che prevede la cessione di una quota della partecipazione pubblica nell'azionariato dell'azienda. Il voto della commissione Trasporti e Telecomunicazioni della Camera sul parere relativo al DPCM è stato rinviato alla prossima settimana, mentre a Palazzo Madama si è fatto il punto sulla vendita sul mercato di ulteriori quote di Poste. Molti parlamentari hanno avanzato dubbi sull'operazione, che rappresenta un momento critico nel processo di privatizzazione e richiede un'approfondita valutazione degli impatti potenziali.

"Le risorse che potranno essere ottenute dalla realizzazione dell'operazione dipenderanno dall'ammontare della quota che sarà collocata sul mercato. Laddove si procedesse alla cessione dell'intera partecipazione direttamente detenuta dal Mef, ferme rimanendo le valutazioni che potranno essere effettuate in merito al mantenimento della partecipazione pubblica maggioritaria nel capitale, il controvalore desunto sulla base dei più recenti dati di mercato disponibili potrebbe ammontare a circa 4,4 miliardi". Ha detto il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti in audizione sull'alienazione di una quota di Poste. "L'operazione di dismissione rappresentata nel Dpcm attualmente all'esame del Parlamento - ha aggiunto - deve essere considerata una cornice che individua un valore minimo della partecipazione dello Stato, che potrà essere raggiunto progressivamente e in più fasi, in modo da salvaguardare il controllo strategico pubblico su questo asset". 

Il ministro ha spiegato che l’alienazione della quota di partecipazione che potrebbe portare lo Stato fino "al 35% del gruppo può avvenire anche in più fasi, il che significa che nelle prime fasi "il governo potrebbe anche fermarsi al 51%, perché riteniamo che questa sia un’asticella che riteniamo in questo momento soddisfacente rispetto al percorso indicato".

LEGGI ANCHE: Poste Italiane, la cessione di quote fa insorgere i lavoratori

D'altro canto Matteo Del Fante, ad di Poste Italiane, in audizione in Senato su questo argomento precisa: "Alla domanda "se cambia qualcosa con la vendita di altre azioni sul mercato o no?' io risponderei cosi', in maniera molto evidente e chiara: assolutamente no, dipende solo ed esclusivamente dal management dell' azienda e dalle indicazioni che il management ha dall'azionista". Aggiungendo: "Il management e le indicazioni, la supervisione date dal governo e dai ministeri coinvolti possono garantire l'assoluta costanza del piano", ha rimarcato Del Fante, aggiungendo che non e' prevista "nessuna ricaduta sulle chiusure di uffici postali e sulle acquisizioni".

Poste, l'ad Del Fante: "Investiamo nel mercato dei pacchi"

D'altra parte l'amministratore delegato Matteo Del Fante ha spiegato la sfida di mercato di puntare sulla consegna dei pacchi. "Nel 2016 abbiamo iniziato a puntare molto sulla consegna dei pacchi perché la corrispondenza è in via di estinzione. Siamo tutt’oggi al bivio per decidere di smettere di andare a casa degli italiani non essendoci più posta o di continuare a farlo con un rappresentante di Poste che dovrà portare i pacchi. L’azienda che nel 2017 era sesto operatore in Italia in ambito pacchi ha consuntivato nel 2023 una leadership nei pacchi consegnati a casa. Siamo diventati il primo operatore. Oggi possiamo processare fino a 2 milioni di pacchi al giorno e nel 2024 giriamo intorno a 1,5 milioni di consegne giornaliere". 

"Sarà una grande traversata nel deserto - ha aggiunto - ma sono percorsi che richiedono 10-15 anni, il mercato dei pacchi è un mercato in cui i clienti non cambiano fornitore facilmente e le quote di mercato si muovono in maniera lenta. Il contesto è difficile per noi perché dal 2012 abbiamo dimezzato i ricavi da posta, siamo a 35 consegne pro capite per anno, 55 pezzi in meno rispetto alla media europea, ovvero una volta ogni dieci giorni ogni italiano riceve un prodotto in cassetta della posta. Quel prodotto viene remunerato a Poste un euro. La posta da sola non è in grado di sostenere una presenza sul territorio.

La strada che abbiamo deciso di percorrere è quindi andare a casa degli italiani con i pacchi. Investiamo nei pacchi, facciamo formazione e cerchiamo di acquisire un ruolo, tra cinque anni, di diventare il primo operatore di logistica italiano. Importante e strategico per l’Italia avere un operatore id logistica". "In questi cinque anni - ha spiegato ancora Del Fante - vogliamo dedicare una rete di postini che fanno solo pacchi. Gradualmente, non per gli attuali postini, ma dal momento che troveremo auspicabilmente un accordo con i rappresentanti delle sigle sindacali, chiederemo ai nuovi assunti di diventare consegnatori di pacchi e non consegnatori di posta. Questo ci porta a traghettare alla fine del piano due terzi dei pacchi consegnati da Poste. Nel 2023 abbiamo consegnato 256 milioni di pacchi, proiettiamo al 2028 370 milioni di pacchi. Ma soprattutto proiettiamo che, con questa linea di postali - ha concluso - ne arriveremo a consegnare due terzi da nostri dipendenti".

Sulla cessione sottolinea: "Il controllore dall'azienda rimane lo Stato, lo statuto e' quello: dei 9 consiglieri, 6 consiglieri vengono nominati dallo Stato, chiaramente c'e' il tema su quei 6 se ci metti 6 persone giuste o no, ma questo vale sia che lo Stato sia proprietario del 90, del 70 o del 50 per cento", ha esemplificato Del Fante.






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