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Economia
Progetto Italia, rischio sistemico non calcolato: 60mila lavoratori coinvolti

Mentre si riduce il tempo dei negoziati prima del prossimo 1 agosto, la data indicata per annunciare i dettagli del possibile piano di rilancio e sviluppo del settore delle costruzioni, analisti, imprese, ma soprattutto lavoratori si interrogano sul rischio di un eventuale fallimento del Progetto Italia, la soluzione proposta da Salini Impregilo per salvare prima di tutto Astaldi e da lì altre grandi imprese creando un polo delle costruzioni, solido a livello finanziario e forte sul mercato interno e internazionale.

Nonostante il confronto serrato con la Cassa depositi e prestiti, le banche e le imprese coinvolte vada avanti, c’è chi teme, soprattutto le organizzazioni dei lavoratori, l’ipotesi più nera: il fallimento del progetto. E tutto quello che questo comporterebbe.

Oggi sei delle prime dieci aziende italiane di costruzioni sono di fatto in crisi. Alcune in amministrazione controllata, altre alla ricerca disperata di un aumento di capitale, altre ancora destinate al fallimento. Tra queste Astaldi, la prima che dovrebbe rientrare nel Progetto Italia, ma anche Condotte, Trevi, Mantovani, Toto e molte altre.

Questo significa che da qui ai prossimi mesi il nostro paese potrebbe dover affrontare una emorragia occupazionale che coinvolge 30.000 lavoratori diretti ed altrettanti indiretti.

La sola Astaldi, la seconda società di costruzioni in Italia dopo Salini-Impregilo, ha circa 11mila addetti; Condotte, in amministrazione straordinaria, ne ha 4.500. Poi c’è la Grandi Lavori Fincosit, in concordato in bianco, ma con oltre mille addetti impegnati – tra gli altri progetti – anche sulla metro di Firenze; la storica Cmc di Ravenna che di addetti ne conta quasi 7mila e Trevi, con oltre 7.500 addetti che attendono i risultati dell’operazione di rafforzamento patrimoniale e ristrutturazione del debito.

Ognuna di queste aziende vive una situazione di crisi diversa dalle altre, ma gli effetti sul mercato sono più o meno gli stessi. Sono infatti tutte esposte nei confronti di fornitori e banche. Questo da un lato mette a rischio la solvibilità, soprattutto nei confronti delle imprese fornitrici (molte delle quali concentrate al sud e di piccole e medie dimensioni, incapaci di reggere a lungo il blocco dei pagamenti), dall’altro rende difficile l’avanzamento nei progetti in cui sono coinvolte, in particolare per quelle che hanno già avviato un concordato in bianco e che sono legate alle prassi stabilite dal tribunale fallimentare, e non possono pagare i fornitori prima dell’approvazione di un piano di rilancio.

Il debito di Astaldi ammonta a 3,6 miliardi di euro, e sono oltre 800  i fornitori del gruppo solo in Italia.

È evidente che se il Progetto Italia dovesse naufragare e le grandi aziende coinvolte riprendere la strada del fallimento, il rischio sarebbe quello di un cortocircuito industriale che coinvolgerebbe a cascata fornitori, lavoratori e in ultima istanza cittadini.

Le aziende interessate sono infatti tutte impegnate nella realizzazione di opere strategiche sul territorio nazionale. Astaldi è presente su più progetti, dalla M4, la nuova metro driverless di Milano, al tratto ferroviario dell’alta velocità tra Verona e Padova; dal tunnel di base del Brennero alla metro C di Roma, oltre che per una delle tratte dell’alta velocità Napoli-Bari.

Solo nelle Marche, dove ha in carico la costruzione dell’autostrada Perugia-Ancona, sono decine le aziende fornitrici che potrebbero non vedere un euro e oltre mille persone che rischiano di rimanere senza lavoro, al punto da richiedere più volte l’intervento politico dell’assemblea regionale delle Marche per sensibilizzare governo e Anas sulla soluzione della questione.

Lo stesso discorso vale per tutte le altre società. In totale in 14 regioni italiane ci sono cantieri bloccati per via delle crisi aziendali per un valore complessivo di 30 miliardi di euro.

Investimenti già stanziati che non vengono erogati per il mancato avanzamento dei lavori. È questo l’ultimo miglio di un effetto a cascata che non risparmia neanche la finanza e i suoi investitori (5 miliardi è il valore dell’esposizione finanziaria delle società in crisi e 7 miliardi le bonding line complessive messe a disposizione dal sistema finanziario).

I numeri lo confermano: la partita è delle più delicate e nessuno è in grado di calcolare con esattezza cosa accadrebbe se saltasse il banco.

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