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Economia
Rendimenti dei titoli di stato in rialzo, ma non c'è (ancora) da avere paura

Volano i rendimenti dei btp

Dall’inizio dell’anno il rendimento dei btp a 10 anni è aumentato del 245%. Il 4 gennaio di quest’anno – sembra passato un secolo – il buono poliennale rendeva l’1,2% all’anno. Oggi offre il 4,35, dopo aver flirtato con il 5% subito dopo le elezioni. Dunque che cosa succede? Succede che la Fed, la Bce e la Bank of England hanno varato una serie di rialzi del costo del denaro per far fronte all’inflazione galoppante. Siamo a livelli record per quanto riguarda i rendimenti? Nemmeno per idea. Durante la crisi del debito sovrano del Messico, all’inizio degli anni ’90, il rendimento medio ponderato dei btp era del 13,1%. 

Il tasso di sconto applicato da Bankitalia (e oggi dalla Bce) era, nel 1991, dell’11,5% e arrivò al 15% il 4 settembre del 1992, un mese dopo il celeberrimo prelievo forzoso dei conti correnti da parte del governo Amato. Oggi questo tasso è del 2% e verrà probabilmente rivisto al rialzo. Che cosa significa tutto questo? Che le banche si troveranno a pagare un prezzo più alto per “acquistare” il denaro della Bce e quindi riverseranno questi incrementi sui mutui e sui prestiti. I primi vedono il tasso fisso ormai aumentare stabilmente sopra quota 3% e l’incremento medio dei variabili sopra quota 30 euro al mese (poco meno di 400 euro all’anno). Anche i prestiti iniziano a salire e c’è da credere che nei prossimi mesi si registrerà un inasprimento delle condizioni per accedere ai finanziamenti, quello che in gergo si chiama credit crunch. 

Dove sono le buone notizie? La prima sta nel fatto che il sistema bancario è molto più solido di quanto avvenuto anche solo nel 2008, quando – a seguito della crisi finanziaria – si è assistito a un autentico maremoto che ha toccato il suo apice nel 2011. Ad agosto 2022 i crediti deteriorati, secondo l’Abi, rappresentavano lo 0,92% del totale, contro il 4,89% di novembre 2015. Un sistema bancario solido significa minore rischio di ulteriori turbolenze.

La seconda buona notizia è che il raffreddamento coatto dell’economia porta necessariamente a un rallentamento della corsa ai prezzi e a un calo drastico dei costi dell’energia. Tradotto: in un momento in cui molta parte della popolazione italiana vede contrarre il suo potere d’acquisto (ma non l’occupazione, almeno per ora) un calo dell’aumento dei prezzi significa tamponare l’erosione di una “tassa occulta” che oggi ha mangiato più del 10% degli stipendi italiani.

Non c’è nulla di affascinante in una crisi economica, ci mancherebbe altro. Tanto che Fabio Panetta e Mario Centeno hanno messo in guardia rispetto a un aumento troppo rapido dei tassi d'interesse. Ma le ultime dichiarazioni del chairman della Fed, Jerome Powell, dimostra come il tempo dei maxi-aumenti sia già giunto al termine. E Christine Lagarde ha dichiarato che la Bce non inseguirà la Federal Reserve nella corsa al rialzo dei tassi. "Dovremo innalzare i tassi - ha detto oggi 4 novembre - su livelli che ci permetteranno di conseguire il nostro obiettivo di un'inflazione a medio termine del 2%. La meta finale del percorso dei tassi di interesse è chiara, ma non l'abbiamo ancora raggiunta. L'inflazione nell'area dell'euro è di gran lunga troppo elevata e per la prima volta ha raggiunto un valore a due cifre in ottobre - ha rimarcato -. La combinazione degli shock che stiamo affrontando, guerra, energia, turbative delle catene di approvvigionamento, riallocazione della domanda, implica che l'inflazione si manterra' probabilmente al di sopra del nostro obiettivo per un certo periodo".

C’è da aspettare, avrebbe detto Eduardo, che passi ‘a nuttata. Non c’è altro da fare, in un momento storico in cui il rischio di “tempesta perfetta” sembra per ora scongiurato. Ma non c’è troppo da scherzare. 
 

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