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Economia
Risparmio gestito, parte Mifid 2. Cosa cambia con la direttiva Ue


Borse europee prudenti il giorno in cui scatta la transizione normativa più "sismica" della storia dei mercati finanziari con l'entrata in vigore (un anno dopo quella che avrebbe dovuto inizialmente essere la data convenuta) la direttiva europea Mifid 2 e il regolamento Priips. Norme che impattano sui  servizi di investimento e sui prodotti "preconfezionati" imponendo una maggiore  trasparenza in particolare sui costi che i clienti debbono pagare per i vari prodotti e servizi, dalla distribuzione alla ricerca, fino alla consulenza.
Ma cosa significano le due sigle? Mifid è l'acronimo di Markets in financial instruments directive (Direttiva sui mercati degli strumenti finanziari), Priips è invece l'acronimo di Packaged retail investment and insurance-based investments products (Prodotti di investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati). Nel primo caso tutto è partito con l'atto normativo emanato dal Parlamento europeo il 21 aprile 2004 (la prima direttiva Mifid) voluto per creare un terreno competitivo uniforme tra gli intermediari finanziari della Ue, quanto al secondo è un regolamento che definisce nuove regole di condotta in materia di servizi di investimento e introduce il nuovo documento semplificato con le informazioni chiave sui prodotti finanziari (il cosiddetto "Kid").
Oltre a imporre agli intermediari finanziari di garantire ai propri clienti l'accesso clienti a informazioni più dettagliate e più frequenti, il combinato disposto delle nuove norme prevede anche un rafforzamento dei poteri ex-ante come pure ex post delle diverse autorità di vigilanza. In sostanza grazie al cosiddetto "product intervention" sarà possibile per Banca d'Italia e Consob a livello nazionale e per Eba (European banking authority, l'Autorità bancaria europea) ed Esma (European securities and markets authority, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati) vietare, o limitare, la vendita di uno strumento o servizio finanziario o determinate pratiche e attività finanziarie.
Naturalmente siccome le strade dell'inferno sono lastricate di buone intenzioni, ci si chiede se effettivamente la portata della "rivoluzione" normativa sia tale da modificare concretamente, e in meglio, la situazione che in questi anni ha visto i risparmiatori italiani venire sollecitati a investire in strumenti del tutto inadatti alle loro esigenze, come le obbligazioni bancarie subordinate, in alcuni casi (come per Banca Etruria o le ex popolari venete) con esiti disastrosi. Secondo l'ex numero uno di Consob, Giuseppe Vegas, se avesse potuto predisporre un "product intervention" già negli anni passati, forse il peggio si sarebbe potuto evitare e visto che a pensar male si fa peccato ma ogni tanto ci si becca non sarà un caso che proprio le banche e gli intermediari di minori dimensioni abbiano opposto la più strenua resistenza all'entrate in vigore delle norme, inizialmente fissata per il primo gennaio 2017, adducendo la necessità di prepararsi adeguatamente all'evento.
Altri protagonisti del settore sembrano più scettici: in un'intervista a Bloomberg Television David Herro, a capo degli investimenti azionari internazionali di Harris Associates, ha spiegato che a suo parere si tratta solo di "ulteriori regole per risolvere un problema che probabilmente non era così ampio come la regolamentazione stessa" che prova a darvi una soluzione. Anche Andreas Utermann, Ceo di Allianz Global Investors, non ritiene che si vedrà alcuna vera rivoluzione. "La maggior parte dei gestori patrimoniali è pronta. La maggior parte dei broker è pronta e il primo trimestre verrà utilizzato da tutte le parti coinvolte per cercare di fissare i giusti prezzi per far funzionare i sistemi e testarli", ha spiegato l'esperto.
Certo, Mifid 2 e Priips aumentano la trasparenza, cosa che è sempre positiva, ma anche la "vecchia" Mifid si era riproposta la stessa finalità e il risultato è stato una serie di documenti e prospetti obbligatori che quasi nessuno legge prima di investire, continuando a fidarsi dello sportellista o del consulente finanziario di turno, salvo scoprire a volte, a proprie spese, che la fiducia era mal riposta. Aumentare il numero di documenti da fornire ai risparmiatori e il numero di firme da chiedere loro per sottoscrivere un contratto basterà a garantire davvero una maggiore trasparenza e più tutele per gli investitori? Nei prossimi mesi la risposta.

 

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