Saipem prepara l'M&A con Subse. Big dell'offshore che piace al mercato. Rumors
Se riuscisse a mettere le mani sul concorrente norvegese, il gruppo italiano diverrebbe il quinto al mondo nel settore dei servizi petroliferi offshore
Anche per Saipem è tempo di risiko? E’ bastato che ieri sera l’agenzia Bloomberg rilanciasse indiscrezioni di colloqui tra il gruppo italiano e il concorrente norvegese Subsea 7 per valutare un’integrazione delle rispettive attività, pur precisando che si sarebbe ancora in una fase assolutamente preliminare e non vi è alcuna certezza che l’operazione (ventilata già gli scorsi anni ma finora mai concretizzatasi) vada in porto, perché sul Saipem scattassero nuovi acquisti in borsa, dove stamane il titolo guadagna quasi il 2% rispetto al mezzo punto o poco più dell’indice Ftse Mib.
Al mercato e agli analisti, del resto, l’ipotesi piace: un consolidamento nelle cose avrebbe senso, commentano gli uomini di Berenberg, secondo cui entrambe le aziende sono alle prese con mercati “sfidanti” per cui una fusione permetterebbe di tagliare i costi e ridurre l’eccesso di capacità, con potenziali effetti benefici in termini di pricing nel segmento “subsea”. Inoltre, le attività di Saipem e Subsea 7 appaiono complementari sia geograficamente che tecnicamente, dunque non ci sarebbero eccessivi problemi di sovrapposizione.
Subsea 7 capitalizza in borsa meno di 3 miliardi contro i 4,4 miliardi circa di Saipem ed anche industrialmente il gruppo norvegese è di dimensioni inferiori a quello italiano: il fatturato atteso per quest’anno è di 3,4 miliardi (per Saipem si parla di oltre 9 miliardi) mentre l’Ebitda è previsto attorno ai 550 milioni (la metà degli 1,1 miliardi che il mercato prevede per Saipem) e il portafoglio ordini a fine settembre era salito a 4,92 miliari di dollari (quello di Saipem alla stessa data valeva 19,814 miliardi di euro).
Subsea 7 potrebbe dunque essere una preda ideale per far crescere di taglia Saipem, che arriverebbe ad un fatturato di quasi 12,5 miliardi e ad un Ebitda di quasi 1,65 miliardi, con una spinta anche in termini di utile netto grazie alle possibili sinergie di costo e di pricing. Numeri che farebbero salire il gruppo italiano al quinto posto nella classifica dei principali gruppi del comparto in base al fatturato, dietro solo a colossi come Schlumberger (29,8 miliardi di euro circa di fatturato nel 2018), Fluor Corporation (25,2 miliardi), Halliburton (21,8 miliardi) e Baker Hughes (20,8 miliardi).
Ma quale sarebbe il prezzo giusto da pagare? Secondo gli analisti di Equita Sim, rispetto alle valutazioni correnti (Subsea7 tratta ad un multiplo Ev/Ebitda 2020 atteso di 5 volte rispetto alle 5,3 volte di Saipem) il gruppo italiano, che dalla fusione uscirebbe rafforzato nell’offshore e potrebbe sfruttare sinergie di costo, dovrebbe riconoscere un premio ai norvegesi.
“Il concambio sulla media dei 6 mesi è 2,2 volte, sostanzialmente in linea con i livelli attuali” notano gli esperti. Ipotizzando qualche punto percentuale di sinergie in termini di costi combinati e un premio del 10%-15% rispetto alle quotazioni correnti a favore di Subsea 7, la fusione secondo Equita Sim incrementerebbe comunque il valore di Saipem di una percentuale a due cifre decimali.
In attesa di capire se a questi nuovi abboccamenti seguirà o meno un’intesa e i dettagli dell’operazione, il management di Saipem non sta con le mani in mano. Giusto ieri il gruppo ha annunciato nuovi ordini proprio nel segmento Offshore E&C, dopo un periodo di stasi di diversi mesi, per complessivi 880 milioni di dollari, una commessa importante che rappresenta il 5% della raccolta ordini 2019, overo il 20% di quella della sola divisione offshore E&C.
L’ordine più importante è arrivato da un cliente storico del gruppo, Exxon Mobil, per l’ulteriore sviluppo del progetto Liza nel blocco Stabroek al largo della Guyana, dove Saipem realizzerà strutture sottomarine, riser e flowline. Già nel 2017 e nel 2018 Saipem aveva ricevuto da Exxon Mobil commesse “subsea” per le prime due fasi dello sviluppo del progetto.
Luca Spoldi
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