Economia
Migranti, reddito pro-capite e investimenti. Così li aiutiamo a casa loro

Le scene apocalittiche della massa di disperati che dalla sponda Sud del Mediterraneo sbarca sulle coste italiane o greche, incuranti del costo in termini di vite umane che spesso tali viaggi comportano, per poi abbattere una dopo l’altra le frontiere dei paesi europei, in una migrazione verso i paesi del Nord, hanno scosso le coscienze di molti, ma la risposta europea tarda a manifestarsi in modo unitario. Nel frattempo però uno studio sulle economie dei 25 paesi che si affacciano sul Mediterraneo, curato da Eugenia Ferragina dell’Istituto di studi sulle società del Mediterraneo del Cnr di Napoli, permette di fare luce sul fenomeno, evidenziando un quadro in chiaroscuro. La distanza economica tra Nord e Sud rimane infatti un fattore caratterizzante del bacino, nonostante le prestazioni positive di cui le economie sud-orientali della zona sono state protagoniste ancora di recente, riducendo almeno in parte il divario.
Se a 20 anni dalla Conferenza di Barcellona la disuguaglianza nella concentrazione della ricchezza tra la sponda settentrionale e quella nordafricana, mediorientale e balcanica viene confermata, il rapporto 2015 rileva una “relativa convergenza tra le economie della riva Nord e quelle della riva Sud del bacino, in parte attribuibile al rallentamento dei processi di crescita che gli stati europei hanno subito in conseguenza della crisi del 2008”, più che ad un’accelerazione della crescita dei paesi meno sviluppati. Raffrontando il Pil pro-capite delle economie dell’area quale percentuale di quello italiano, i paesi mediterranei aderenti all’euro e Israele si collocano fra il 122% della Francia e il 62% del Portogallo e della Grecia, mentre le economie balcanico-anatoliche registrano valori fra il 38% della Croazia e il 10% della Bosnia-Erzegovina; su percentuali anche inferiori si attestano i paesi arabi della riva Sud (Tunisia, col 13%, Algeria con l’11%, Giordania col 10%, Marocco col 9%) con l’Egitto, il cui Pil pro-capite è pari ad appena il 5% di quello italiano. Il perché, al di là delle situazioni di conflitto presenti, chi possa tenti di fuggire è del tutto evidente, meno la soluzione in grado di rallentare o interrompere tali flussi nei prossimi anni.
Qualche fragile segnale di miglioramento sembra tuttavia di scorgerlo: “L’Egitto ha visto aumentare il reddito nazionale lordo pro-capite dai 2.510 dollari del 2010 ai 3.140 del 2013, il Marocco da 2.870 dollari a 3.020, la Tunisia da 4.160 dollari a 4.200”, sottolinea Marco Zupi, del Centro studi di politica internazionale (Cespi), mentre confrontando i dati relativi alla povertà estrema tra le diverse aree del pianeta “Nord Africa e Medio Oriente risultano”, dal 1990 a oggi, “la regione con la minor gravità dal problema, ma anche con meno miglioramenti”. Il divario, insomma, si riduce troppo lentamente a causa in particolare di un incremento del Pil nelle aree sud e sud-est del bacino che appare insufficiente a proteggere dal rischio di povertà e al contempo dall’insussistenza di un sistema di welfare e di protezioni che rappresenti un’ancora di salvezza. Ad aggravare il quadro contribuisce certamente l’instabilità politica, che scoraggia l’afflusso di investimenti diretti esteri (Ide): i paesi con i minori flussi di flussi di Ide sono non a caso risultati essere la Siria, la Libia, l’Egitto, l’Algeria e la Giordania.
Secondo il rapporto gli Ide in Egitto, dopo il picco di 11,6 miliardi di dollari e il successivo collasso a 6,7 nel 2009, tre anni dopo non avevano ancora recuperato i livelli pre-crisi, a causa della situazione politica critica e della scarsa sicurezza. In Israele, dopo la cifra record di 20 miliardi di dollari nel 2006, gli Ide sono caduti a meno di 8 miliardi nel 2009, recuperando solo in parte con 13 miliardi nel 2012. Oltre all’instabilità politica, ad aggravare la situazione contribuisce un modello di specializzazione basato prevalentemente sulle risorse naturali e le dimensioni limitate dei mercati e degli scambi tra i paesi della riva Sud.