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Economia
Silicon Valley, Ruggeri (ex Cnh): "La dittatura di Facebook sta per finire"

Riccardo Ruggeri, classe 1934, si considera un ex di professione, ex balbuziente, ex operaio, ex travet, ex manager, ex Ceo di multinazionali, ex consulente internazionale di business, ex fondatore di start up, ex imprenditore. Da 10 anni legge, riflette, scrive (Blog riccardoruggeri.eu), viaggia, per cercare di capire in quale mondo vivranno i suoi amati nipoti. Finora dice di non esserci riuscito.

Ruggeri, i grandi mutamenti della storia iniziano sempre nella distrazione generale comune, e ci si accorge solo a cose avvenute dei cambiamenti. Pensando a quella attuale, mi viene in mente il caso del 2000: quando dopo lo scoppio della bolla internet, a San Josè, capitale della Silicon Valley, il prezzo delle case, invece di scendere per la crisi, salì. E’ questo l’inizio?
"Penso di no, questo è certamente un fenomeno, come quello dei mutui nel 2008, la crisi coinvolse le classi meno abbienti, ma quelle più agiate non sentirono nessun contraccolpo. Io vivevo a Londra, e a Knightsbridge, come in altri quartieri esclusivi di altre grandi capitali, non ci fu nessun calo".

E quindi secondo lei quale fu il punto di origine?
"Il punto d’origine è molto indietro nel tempo, ma lascio a storici come Niall Ferguson questo tipo di analisi. Io posso dirle cos’ho provato quando facevo il Ceo, per me la caduta del muro di Berlino fu lo spartiacque di un nuovo mondo. In quel periodo entrarono in scena personaggi come il banchiere centrale Alan Greenspan, che diventerà un deus ex machina (rimarrà alla Fed con 4 diversi presidenti degli Stati Uniti), arriverà Clinton che rappresentava il nuovo, dopo di lui Blair, e così si creano delle aspettative importanti. Credo sia quello il momento in cui nasce quello che io chiamerò poi “Ceo capitalism”, cioè un concetto di società che mette al centro di tutto il consumatore. Prima di allora, al centro c’era l’uomo, ed era il capitalismo classico, che seguendo le strade indicate della rivoluzione francese portò al successo la classe media. Il capitalismo classico è basato sull’ascensore sociale, di cui io sono un perfetto esemplare, perché fino a 40 anni sono stato operaio, e poi una serie di circostanze, mi porta ai piani alti, fino all’attico. L’uomo era sempre al centro di ogni contesto e di lotta, ed è così che è cresciuto il mondo Occidentale, ed è così che è cresciuta l’economia degli Usa, con l’alternanza dei partiti. Da una parte i Repubblicani che spendevano, investivano, aumentavano il debito e facevano volare la Borsa, poi succedevano i Democrati che portavano maggiore redistribuzione e abbattevano il debito. Così l’America è diventata il paese più ricco. E’ andata sempre così e si pensava che il giochino potesse continuare, ma forse per la smania di voler migliorare, le cose d’un tratto sono cambiate mettendo il consumatore al centro, dunque si devono abbattere i costi, perché il consumatore deve essere agevolato negli acquisti. Ed è lì che a mio avviso ha inizio il “Ceo Capitalism”".

Lei sa che così va contro il pensiero comune, perché ogni qualvolta c’è una crisi, la presidenza Clinton viene vista come un modello e un rimpianto...
"Infatti, fino però al 2007, quando dopo una successione di micro crisi, arriva il ’29 e il sistema salta".

Quindi il consumatore al centro?
"Loro dicono così, perché avevano in testa un’utopia di globalizzazione così congegnata: noi Occidente siamo la mente e l’innovazione, l’India la parte burocratica,impiegatizia e la Cina la forza operaia. Così pensammo di poter diventare tutti ricchi, ma era ricchezza finanziaria. Fino a un certo punto il gioco funzionò, il lavoro si diresse verso questi paesi meno sviluppati, ora a noi sono rimaste precarietà e disoccupazione: i”perdenti della globalizzazione”. Il gioco dei ruoli salta e così arriva la crisi del 2007/2008 che mette in crisi questo sistema. Una crisi che perdura ancora oggi, anche se i numeri parlano di crescita, c’è un Pil che sale dell’1,5%, ma lei sa benissimo che per esserci crescita deve essere superiore al 3%".

Dunque fin che io sono un consumatore sono un privilegiato, ma nel momento che non lo sono più sono escluso dalla società?
"Infatti, cosa sta proponendo il movimento 5 Stelle e similari? Il reddito di cittadinanza. Perché se il “Ceo Capitalism” ti porterà a lavorare sempre meno, con meno reddito e meno diritti, come farai a consumare? Deve intervenire l’aiuto dello Stato con il reddito di cittadinanza. Così Stato e cittadini impoveriscono, che futuro è?".

Quindi la politica è succube del sistema Silicon Valley, siamo in piena precarietà e incertezza e la politica non ci aiuta...
"Per questo l’ho chiamato “Ceo Capitalism”, perché la politica è succube di Ceo che guidano il mondo senza essere eletti e i politici fungono da maggiordomi. Ben diverso nel capitalismo classico, quando la politica era in grado di spaccare aziende monopolistiche come At&T o la Standard Oil per ripristinare la concorrenza. Perché non lo fanno con i giganti (monopolisti) della Silicon Valley? 
Sa come fa i quattrini il sistema Silicon Valley, aziende come Facebook ti danno un servizio gratuito e intanto ti “profilano” prendendo i tuoi dati e rivedendoli, però non è  uno scambio negoziato, è una rapina. Fino a qualche anno fa ero in una esigua minoranza che affermava questi concetti, oggi ci sono sempre più studiosi che arrivano persino a definire questo monopolio come nazismo politico-economico.
Il pericolo, per loro, è che se gli togli la pubblicità, cioè la benzina, questi monopoli cadono. Il caso Unilever è un perfetto esempio, come il peggioramento della reputazione di Zuckerberg in costante discesa. Piccoli segnali deboli. Vedremo".

Dunque noi lavoriamo per i social, arricchendoli, pensando invece di essere noi i protagonisti?
"Esatto, ma guardi che queste aziende sono fragilissime, nonostante le enormi crescite di borsa, perché se non ottengono lo scopo di diventare monopolisti, crollano. Il caso UberPop è emblematico. Puoi fare “gig economy” per un certo periodo, ma se trovi un giudice come quelli inglesi, vieni fermato".

Ritornando per un attimo alla politica e agli investimenti, ci sono ancora molti risparmiatori che credono che la politica possa influenzare l’andamento dei mercati.
"Assolutamente no, guardi come i mercati sono tranquilli alla vigilia delle elezioni italiane, perché i mercati confidano che ci sarà comunque un accordo tra le forze moderate. Ma se dovesse andare a votare il 90% della popolazione con una vittoria di Lega e 5 stelle non crederà mica che li faranno governare. Subito applicherebbero il protocollo Grecia, spread alle stelle, mercati in subbuglio, e oplà lo Tsipras della situazione".

Che ne pensa di Draghi?
"Draghi è una persona seria, il problema è che con il “Ceo capitalism” comandano i non eletti. Guardi quanta importanza gli diamo, eppure non è stato eletto, la Banca Centrale è un ente autonomo, il governatore nominato da burocrati, che democrazia è mai questa?"

Ceo capitalism, salari che non salgono e assenza dell’ascensore sociale, in tutto questo c’è ancora chi crede al ritorno dell’inflazione.
"Ma non scherziamo, è tutto sotto il controllo degli algoritmi di regime. Malgrado ciò io oggi sono ottimista, i segnali deboli “anti” si succedono: Brexit, Trump, No al referendum italiano, elezioni tedesche con Merkel anatra zoppa, la percezione della gente sta cambiando, iniziano a non accettare più questo sistema. Guardi cos’è capitato allo stesso Renzi, un tempo era osannato, oggi è evitato. Il concetto di “Ceo Capitalism” si riassume anche nell’idea di mettere lo “stile di vita davanti alla vita stessa”, ci rifletta è un trucco".

Dunque lei è ottimista…
"Sì io sono ottimista perché il giochino salterà".

Infatti anche tra i giovani inizia…
"Lei vede che i giovani sotto i 30 anni iniziano a utilizzare meno Facebook, a scoprire le fake news delle Istituzioni".

Intendevo dire che anche la musica inizia a far sentire la voce di dissenso sul tema, ad esempio il gruppo musicale "i Ministri" affermano che i “Millenials hanno capito che nel loro futuro saranno poveri”. 
"Infatti, ma soprattutto il Ceo capitalism ha dato maggiore importanza ai vecchi diventati welfare dei giovani. Lo si vede nel Jobs Act,  nel caso Embraco. Il giochino è sempre lo stesso, dopo aver sfruttato i contributi italiani per 15 anni, ora, rispettando le leggi, si spostano altrove per abbattere i costi. Perché le leggi ci sono, inutile che Calenda e Gentiloni facciano queste sceneggiate. Ora Embraco si sposterà in Slovacchia dove peraltro già c’è, ma anche lì avrà delle pretese altrimenti si sposterà in Bangladesh dove potrà usufruire di condizioni di maggior favore. Il giochino si può ripetere, però fino a un certo punto".

Lei ha nominato Calenda, proprio sul caso Embraco giorni fa disse che l’accordo era saltato perché l’azienda doveva rispettare un comunicato di borsa, il ministro amareggiato disse “non è possibile che 490 persone contino meno dei profitti”, ma io Le chiedo, solo oggi ci siamo accorti che il denaro conta più delle persone?
"No, lo confesso, Calenda non l’ho capito. Le regole sono chiare, lui può andare in Europa quando vuole, se stai dentro la globalizzazione, le regole sono queste e pare che Embraco le abbia rispettate".

Tornando al “Ceo Capitalism” mi viene in mente Marchionne, che come industriale forse non ha fatto molto, ma come manager per azionisti, per il marchio Fca e per se stesso, ha prodotto grandi risultati. Tanto che ora, dopo che Fiat ha rischiato anche il fallimento, è diventata talmente grande da poter ballare da sola. Lei ci crede?
"Quello che penso di Marchionne l’ho già scritto ampiamente in un libro “Parola di Marchionne”. Marchionne non è un manager ma un deal maker. Marchionne ha “valorizzato” Fiat, trasferendo la “ciccia” (innovazione, sviluppo prodotto, marketing direzione) in America e lasciando in Italia alcuni stabilimenti cacciavite, senza che ci sia stata nessuna insurrezione".

Dunque quando c’era da aiutare la Fiat abbiamo dato, e ora che dobbiamo ricevere non prendiamo nulla.
"E’ la stessa cosa di Embraco, i fondi sono stati dati, e la politica italiana è stata felice di questa operazione, ma noi poi abbiamo perso il lavoro pregiato".

Dunque Fca ballerà da sola?
"Aspetti, innanzitutto la Fiat è un’azienda americana, perché non è la Fiat che ha comprato la Chrysler, ma il contrario, perché i soldi li ha messi Obama, e chi mette i soldi è il padrone. Si diceva la Fiat metterà la tecnologia, e Obama i soldi, ma la Fiat la tecnologia non ce l’aveva. La Fiat aveva la tecnologia solo nelle auto piccole, ma Chrysler di auto piccole non ne ha mai fatte, il marchio principe era ed è Jeep. Marchionne in termini finanziari è stato un genio: ha continuato a scorporare i suoi marchi, ciononostante, il valore del titolo in borsa cresce. Toglie Ferrari, Cnh, il titolo cade, ma poi recupera e crea ricchezza per gli azionisti. Chapeau!".

Dunque, il futuro di Fiat?
"Non capisco perché come italiani possa interessarci Fiat, visto che è un’azienda americana, con qua 4 stabilimenti di montaggio, come dice giustamente Marchionne legati al mercato. Se il mercato sale, assume, se scende licenzia". 

Rimanendo in tema di auto, cosa ne pensa dell’idea Tesla, l’idea di auto pulita, anche se sulle batterie non inquinanti ci sono molti dubbi, un progetto che però fino a ora non ha prodotto un dollaro di utile ma solo perdite e di Elon Musk, l’ideatore che da molti è considerato un visionario?
"Il mondo delle batterie è un mondo che conosco perché me ne occupavo da giovane. Nella batteria l'innovazione non evolve per progressione continua, ma per “salti”. E’ dal 2004 che Elon Musk dice che tutto il mondo sarà elettrico, ma fino a oggi non è successo nulla. Da una ricerca di un’università svedese che ha studiato la batteria della Tesla, per capire quanto inquinamento produceva ancor prima di essere montata nell’auto, è emerso che appena uscita dalla fabbrica aveva già prodotto un inquinamento pari a un automobile di media cilindrata dopo 5 anni di funzionamento. Secondo punto, le materie prime Litio e Cobalto, necessarie al funzionamento delle batterie, sono estremamente inquinanti e concentrate in pochissimi Paesi in Africa che sono già sotto sfruttamento. La terza cosa, ed è il problema principale, è il caricamento dell’auto, quando inserisci la spina dietro c’è corrente elettrica fatta con idrocarburi. Non si capisce, a livello globale, dove sia il beneficio. Di energia verde ne produciamo ancora pochissima, sole-vento valgono il 5% del totale mondiale. Il prodotto ottimale per le auto in verità già c’è, ed è l’ibrido, si chiama Toyota".

E di Elon Musk che giudizio dà?
"Lui è come tutti gli altri di Silicon Valley, un monopolista. Con i missili, per esempio, vuole diventare fornitore monopolista dello Stato". 

Pensi che poco tempo fa un grande investitore italiano, che tra l’altro è rialzista sul mercato in generale da parecchi anni, mi ha confidato che l’unico titolo su cui andrebbe al ribasso è proprio Tesla.
"Guardi l’auto elettrica non è sostenibile, perché noi l’energia la produciamo ma non riusciamo ad accumularla, questo è il problema. A me pare come le cure dell’Alzheimer, molti anni fa tutte le grandi case farmaceutiche si sono buttate in questo business: medicinali specifici per l’Alzheimer. Oggi, 30 anni dopo, hanno tutte deciso di abbandonare perché non si può scoprire nulla. E allora perché buttare via quattrini? Finirà così con l’auto elettrica? Vedremo".

Un’ultima domanda, una previsione sul futuro, alla domanda su come immagina il mondo nel 2100, Attali risponde che il mondo sarà migliore. Lei come lo immagina?
"Non essendo un futurologo (indovino?) come Attali, non mi pongo questa domanda, prima di tutto perché non ci può essere nessuno che può prevedere il futuro. Guardi io mi sono sposato nel 1961, a quell’epoca il “club di Roma”, i più grandi pensatori e scienziati dell’epoca che studiavano il futuro, si erano concentrati sul clima, ipotizzando un futuro raffreddamento del pianeta causato dalla selvaggia industrializzazione. Io e mia moglie, che è veneziana, decidemmo di andare in visita nella sua città, temendo, per come dicevano gli studi dell’epoca, che il tratto di laguna tra Venezia e Mestre si sarebbe ghiacciato per sempre (sic!), e di conseguenza ci si sarebbe potuto andare solo in slitta. Oggi cosa dicono i figli e i nipoti di quelli del Club di Roma? Il problema è diventato il riscaldamento terrestre. Del futuro, per fortuna, non sappiamo niente, siamo solo capaci a estrapolare il presente".

Mettiamola in un altro modo, secca, il “CeoCapitalism” vincerà o perderà?
"La risposta è nel titolo (provvisorio) del mio prossimo libro “Ceo Capitalism, crescita e decadenza”, semplicemente perché mettere il consumatore al centro è idiota, al centro ci deve essere sempre e solo l’uomo e la sua vita, lo “stile di vita” che vogliono propinarci è una scorciatoia impraticabile".
 
L'ultimo libro scritto da Ruggeri si intitola "America, un romanzo gotico, cartoline da un impero in crisi", ma se volete seguire la storia avvincente del "Ceo Capitalism e quale sarà il finale, sarà sufficiente consultare il suo blog: "Cameo" www.riccardoruggeri.eu.

@paninoelistino

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