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Economia
Supereuro, Saccomanni ad Affari: "Fino a 1,30 dollari non blocca la ripresa"

di Andrea Deugeni
twitter11@andreadeugeni


Mentre l’Istat conferma le stime diffuse il 16 agosto sul Pil del secondo trimestre, una delle preoccupazioni degli imprenditori riuniti a Cernobbio per il tradizionale appuntamento del Forum Ambrosetti è il supereuro. Cambio che oggi ha ritracciato ancora sotto quota 1,19 dollari, ma che è reduce dal massimo da due anni e mezzo messo a segno mercoledì (ha sfondato quota 1,20). Un cambio che per lo scenario rialzista dei tassi d'interesse europei può mettere a rischio la serie positiva dell’economia italiana che dura ormai da dieci trimestri consecutivi. Qual è il livello dell’euro-dollaro che può bloccare la marcia del Pil? E, ancora, con la Bce che nel 2018 dovrebbe iniziare a ridurre il quantitativo di acquisti di titoli di Stato dei Paesi dell’Eurozona, il nostro Paese rischia nuove impennate dello spread? Il pericolo Italia per l’area euro è definitivamente archiviato o esiste ancora sottotraccia? Affaritaliani.it lo ha chiesto a Fabrizio Saccomanni, ex ministro dell’Economia del governo Letta, presente a Cernobbio a Villa d'Este a seguire i lavori.

 

L’INTERVISTA

Quando dobbiamo iniziare a preoccuparci per il supereuro visto che andiamo incontro al tapering della Bce e a uno scenario rialzista dei tassi d’interesse in Eurolandia?
“Quando la moneta unica è partita, il cambio euro-dollaro valeva intorno a 1,18. Se si osserva la sua evoluzione nel corso degli ultimi anni, questo è un livello dal quale non ci siamo molto discostati. L'euro ha anche toccato punte fino a 1,50 dollari. E c’è anche stato un momento in cui il cambio ha raggiunto lo 0,8. Il mercato valutario è molto volatile, una realtà che è dovuta solo in parte alla politica monetaria degli Stati Uniti e dell’Europa. P
iù in generale, risente anche delle scelte di politica economica”.

E quindi?
“L’euro si sta rafforzando anche per il mancato lancio della riforma fiscale negli Usa e per la volontà dell’Amministrazione Trump di introdurre maggiore protezionismo con i dazi. Sta svolgendo il ruolo di moneta alternativa al dollaro. Ci sono anche aspetti negativi della svalutazione della moneta unica: se una valuta perde terreno, significa che si stanno svalutando anche gli asset del Paese, come il risparmio, il valore delle imprese e quant’altro. C’è bisogno di una moneta stabile e l’euro complessivamente lo è. Direi che un livello del cambio euro-dollaro fra 1,20 e 1,30 non crea grandi problemi alle nostre esportazioni”.

 


Entro la fine di quest’anno, i mercati attendono l’annuncio da parte della Bce delle tappe del tapering. Ovvero l’illustrazione del ritmo di riduzione del programma di acquisti di titoli europei, fra cui i Btp. Torneremo ad assistere ad impennate dello spread? C’è ancora un rischio-Italia sui mercati finanziari?
“Il tapering sarà moderato e graduale. Non mi aspetto strappi del differenziale Btp-Bund nè forti rialzi dei tassi da parte della Bce e della Federal Reserve. Complessivamente, quello che può avvenire sarà una riduzione graduale degli acquisti di titoli di Stato che impatterà sul livello dei tassi a lungo termine, livello che però risente anche del tasso atteso d’inflazione. E se questo resta attorno all’1,3%, i tassi a lungo termine non reagiranno più di tanto. Non mi aspetto grandi scossoni. Con questo quadro di politica economica e monetaria da parte della Bce, non rivedremo più i livelli del 2011”.

Come vede la situazione politica italiana che va verso le elezioni e che configura un rischio ingovernabilità?
“E’ la preoccupazione principale sul nostro Paese che riscontro all’estero. Ci si chiede con chi dovrà trattare l’Europa se 
Pier Carlo Padoan sarà costretto a fare le valigie. Il quadro d’incertezza politica ha toccato un po’ tutti i Paesi europei. Penso a Olanda e Francia. Due casi recenti. Speriamo che anche in Italia gli estremismi non prevalgano, che ci sia un rassemblement verso il centro delle forze politiche e che emerga un’impostazione moderata della politica economica attenta alla necessità di rilanciare la crescita e di consolidare le finanze pubbliche”.


Come giudica l’apertura dell’inchiesta da parte della Procura di Roma sulla Banca d’Italia, per il caso Banca Intermobiliare (Saccomanni è stato a lungo direttore generale di Via Nazionale, ndr)?
“Non conosco gli atti della Procura di Roma. Immagino che l’avvocato dell'ex amministratore delegato Pietro Daguì si sia limitato a trasmettere un memoriale difensivo di una parte in causa e che i Pm abbiamo proceduto come atto dovuto”.


Ma dopo i casi di Banca Etruria e delle Popolari venete, l’operato della Banca d’Italia nel vigilare è stato più volte criticato. Via Nazionale ha avuto delle responsabilità in questi crack?
“C’è un  problema culturale di fondo. L’opinione pubblica pensa che la Banca d’Italia abbia un suo impiegato dietro ogni funzionario del sistema bancario e che lo controlli. Non è così: Bankitalia agisce ex post. Non si sovrappone alla gestione dei singoli istituti di credito. Quando arrivano i bilanci e le documentazioni, le esamina ed eventualmente prende provvedimenti di carattere amministrativo, segnalando i profili penali alla magistratura. La Banca d’Italia ha ben vigilato nei limiti dei poteri che ha e che la legge le ha concesso”.

 

Dopo i salvataggi di Mps, di PopVicenza e di Veneto Banca, la crisi delle banche italiane è definitivamente alle spalle?
“Onestamente, credo di sì. La crisi bancaria è sempre stata di alcuni particolari istituti. E’ stato sgradevole dover gestire queste situazioni problematiche con una normativa nuova europea a cui evidentemente le parti coinvolte erano poco abituate. A tutto ciò si sono aggiunte le lentezze a livello comunitario nel prendere certe decisioni e nell’autorizzare alcune mosse del sistema italiano. Non è, però, che altri Paesi non abbiano avuto problemi. Bisogna anche guardare, per esempio, al sistema bancario tedesco. Un recente rapporto della Bafin, l'ente di supervisione della Borsa tedesca, e della Bundesbank sugli istituti teutonici ha segnalato che 68 gruppi su 1.550 non rispettano i minimi prudenziali previsti”.

 

Chi vorrebbe vedere nel 2019 dopo Mario Draghi alla Bce? Si vocifera che stia prendendo corpo la candidatura di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank.
“Non solo, c’è anche una forte candidatura francese...”.

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