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Economia
Tasse, la lotta all'evasione funzionerà? Le ricette di Usa, Germania e Francia

Centodieci miliardi di euro: è questo il “bersaglio grosso” a cui punta il premier Giuseppe Conte sul fronte della lotta all’evasione ed elusione fiscale. Un tema ricorrente da anni, che però non ha saputo dare grandi frutti, salvo che per gli evasori che hanno approfittato ripetutamente di condoni “tombali” succedutisi con elevata frequenza. Il tema del contrasto all’evasione è del resto al centro delle strategie consigliate da organismi come il Fondo monetario internazionale oltre che contraddistinguere la politica fiscale di big come gli Usa, la Germania piuttosto la Francia.

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Una ricetta infallibile non c’è, ma qualche spunto può venire osservando l’operatività delle autorità fiscali di tali paesi. Una prima differenza salta agli occhi guardando ad esempio gli Stati Uniti. In Italia gli ultimi governi hanno fatto a gara per limitare il campo d’azione della magistratura nei confronti dei contribuenti infedeli, tra l’altro alzando la soglia oltre la quale chi evade rischia il carcere: in pratica sotto i 50 mila euro di evasione d’imposta (riferiti a singola dichiarazione annuale) a fronte di redditi non dichiarati fino a 2 milioni il reato è depenalizzato.

Al contrario negli Usa, dove si stima che esista un’evasione oltre quattro volte maggiore in valore assoluto di quella italiana (500 miliardi di dollari contro 110 miliardi di euro) chi evade rischia mediamente 42 mesi (3,5 anni) di carcere. Un rischio concreto tanto che tra il 2015 e il 2017 l’Irs (il fisco americano) ha fatto condannare a pene detentive 8.340 evasori. Soprattutto, mentre in Italia l’evasione e l’elusione sono tollerate da larga parte della popolazione come una sorta di rivalsa nei confronti di un fisco percepito come ingiusto e poco trasparente, negli Usa i contribuenti infedeli vengono colpiti da una “stigma” al pari di ladri o altri criminali comuni.

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Per risultare credibile l’Irs, il fisco americano, in questi anni ha aumentato i controlli sui milionari (che in media subiscono un controllo ogni 8 anni), ha assunto migliaia di agenti speciali, ha sanzionato come comportamento “cospiratorio” anche le pratiche messe in atto da importanti banche e società finanziarie internazionali che consigliavano i propri clienti su come frodare il fisco. Sulla linea di un maggior rigore si è mossa, dallo scorso anno, anche la Francia, approvando un progetto di legge che ha istituito la polizia fiscale, alle dirette dipendenze del ministero delle Finanze destinata a seguire i casi più importanti (anche se per ora gli organici si limitano a una trentina di ispettori fiscali, destinati a salire al massimo a una cinquantina).

Conte Trump
 

Il nuovo corpo affianca la Brigade nationale de repression de la delinquance fiscale (Bnrdf), che fa invece capo al ministero degli Interni che continuerà a seguire i casi con maggiore rilevanza penale (corruzione, impiego di paradisi fiscali, riciclaggio etc), e il Service national de douane judiciaire (Sndj), che fa capo alle dogane giudiziarie. E’ previsto anche un meccanismo di “name and shame”, ossia la possibilità di rendere noti i nomi degli evasori, la loro attività, il luogo in cui opera, l’ammontare della frode e le ammende inflitte in caso di evasione superiore ai 50 mila euro annui, così da rafforzare lo “stigma” sociale ai danni degli evasori.

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Gli evasori possono comunque chiedere un patteggiamento, evitando una condanna in cambio del pagamento delle penali stabilite di volta in volta da un tribunale, seguendo il solco di precedenti storici come quello di Hsbc, che nel novembre 2017 transò versando 300 milioni di euro per evitare un processo.

Chi prova a difendersi in tribunale sa di rischiare la fine di Ubs, condannata a inizio anno a pagare ben 3,7 miliardi di multa (più altri 800 milioni di risarcimenti allo stato) al termine di una causa che ha trovato l’istituto svizzero colpevole di frode fiscale aggravata dal riciclaggio.

La lotta all’evasione sembrerebbe una priorità anche in Germania, dove si stima che nel 2017 siano stati evasi quasi 340 miliardi di euro di imposte. Ma, sorpresa, a Berlino non sembrano pensarla così, ritenendola in larga misura “fisiologica”. Vero è che il reato mantiene la sua rilevanza penale senza che siano mai state introdotte delle soglie e le indagini possono colpire (è accaduto lo scorso anno) anche nomi di spicco dell’economia come l’ex amministratore delegato di Volkswagen, Martin Winterkorn.

La Germania sembra persò puntare maggiormente alla riduzione del carico fiscale per le famiglie e ad una ridefinizione della legislazione che renda il fisco più efficiente e trasparente da un lato, alla lotta alle frodi Iva nel settore dell’e-commerce (dallo scorso anno chi gestisce una piattaforma di vendite online è ritenuto responsabile del versamento dell’Iva da parte dei venditori che sfruttano la piattaforma stessa) dall’altro.

Germania e Francia, infine, hanno formato un fronte comune a favore della cooperazione in ambito fiscale, che mire in particolar modo a introdurre all’interno della Ue una “Common consolidated corporate tax base” (Ccctb), ossia letteralemnteuna base comune consolidata per la tassazione dei redditi d’impresa, oltre che di un’imposta sulle transazioni finanziarie, presente in entrambi i paesi (ma anche in Italia, dove si è peraltro rivelata un “flop” in termini di gettito).

Luca Spoldi

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