Tim, Bollorè fa cassa per la guerra con Elliott: 2 miliardi per il rilancio
A Pietro Scott Jovane la mission della convergenza dei piani di Vivendì su Telecom
di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
La mossa è arrivata almeno in parte a sorpresa: Vincent Bolloré, il raider francese da anni tra gli azionisti di Mediobanca che ha fatto parlare di sì per aver dato una doppia scalata a Telecom Italia (di cui è azionista di controllo col 23,94%) e Mediaset (28,8%), ha ceduto il 27,27% di Ubisoft (produttore di videogiochi che fa capo ai fratelli Guillemot, famoso per titoli come la saga di Assassin’s Creed) acquisito tre anni or sono per 794 milioni di euro, al prezzo di 2 miliardi di euro.
Bolloré esce con una ricca plusvalenza, oltre 1,2 miliardi di euro, e resta comunque presente nel settore dei videogiochi tramite la controllata Gameloft (specializzata nei videogiochi per dispositivi mobili e molto più piccola di Ubisoft), ribadendo che il settore dei videogiochi, “particolarmente dinamico”, rimane “uno dei capisaldi dello sviluppo del gruppo”. Segnali che Vivendi non sarebbe riuscita a conquistare Ubisoft erano apparsi per la prima volta lo scorso settembre, quando dopo l’assemblea annuale di Ubisoft il direttore operativo di Vivendi, Stephane Russel, aveva ammesso a Bloomberg di non sapere come il gruppo si sarebbe comportato.
La conferma che la scalata, ritenuta sino dall’inizio “ostile” dai fratelli Guillemot e dagli altri soci di minoranza, era ormai archiviata venne dopo il 23 novembre, data a partire dalla quale Bolloré sarebbe potuto salire al 30% di Ubisoft cosa che non avvenne (mentre qualche settimana dopo iniziarono i contatti coi Guillemot e gli altri azionisti per definire i termini dell’uscita di Vivendi). Lo stop di quella che era finora sembrata una marcia inarrestabile di Bolloré getta più di un’ombra sulla sua avventure italiana.
Due miliardi di euro sono munizioni preziose, che il finanziere bretone potrebbe utilizzare per rafforzare la sua presa in Telecom Italia (acquistare un 6% circa dell’ex monopolista telefonico italiano costerebbe poco meno di un miliardo ai valori attuali e consentirebbe di arrivare a ridosso del 30%, sopra il quale scatterebbe l’obbligo di Opa), magari riacquistando quegli stessi titoli che Paul Singer ha rastrellato sul mercato e grazie ai quali ha chiesto la sostituzione di sei consiglieri d’amministrazione e una decisa svolta nella gestione del gruppo.
La mossa avrebbe due vantaggi: consentirebbe di ridurre il costo di carico (attualmente la partecipazione in Telecom Italia è iscritta a bilancio al valore di 4,256 miliardi di euro, ovvero 1,0709 euro per azione) e garantirebbe la possibilità di proseguire nel tentativo di dar vita a una “Netflix europea” offrendo un canale di distribuzione ai contenuti di Canal Plus e Gameloft.
Più difficile che Bolloré decida di “andare ai materassi” direttamente in Mediaset, lanciando un’Opa: anzitutto perché c’è poco tempo, visto che il 19 aprile prossimo Vivendi dovrà indicare formalmente all’Agcom come sanare la posizione dominante nel mercato dei media e delle telecomunicazioni (il mercato scommette che proporrà il conferimento di una quota attorno al 19% di Mediaset a un blind trust, conservando una partecipazione diretta di poco inferiore alla soglia-limite del 10%).
Poi perché mentre in Telecom Italia, Vivendi recita il ruolo di azionista di riferimento e sono Paul Singer e altri eventuali azionisti insofferenti della gestione francese a dover organizzare un fronte comune, in Mediaset è ancora Silvio Berlusconi (col 41,291% cui può sommare il 3,795% di azioni proprie in mano a Mediaset stessa) a mantenere saldamente il controllo (anche grazie a eventuali mano amiche in assemblea), rendendo molto probabile un eventuale “fiasco” nel caso si arrivi al lancio di un’Opa ostile.
(Segue...)