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Economia
Trump? Ormai un pugile suonato. Solo la Fed può far tornar il Toro a WS

Wall Street? +4,98% per il Dow Jones e +5,84% per il Nasdaq nella seduta del 26 Dicembre, rialzi roboanti, segni più così scintillanti non si vedevano dal marzo del 2009 il periodo che dava inizio alla rinascita e alla grande cavalcata dopo la grave crisi del 2008. Rialzi bissati ieri con il +1,14% per il Dow Jones e il +0,38% del Nasdaq, una conferma di inversione? Abbondonata l’illusione del tradizionale rally di Natale, dopo la pausa festiva, il mercato, almeno a Wall Street sembra tornato a più miti consigli e con un piglio decisamente più ottimista o almeno speranzoso.

Nonostante il recente recupero, il periodo statisticamente più favorevole per le borse, vedrà per quest’anno un saldo negativo, il dicembre 2018 andrà in archivio come uno dei peggiori della storia di Wall Street. I casi passati più clamorosi? Senza fare paragoni scomodi ed esagerati come il 1931 (eravamo nel periodo della “Grande Depressione”) possiamo ricordare qualcosa di simile un’altra sola volta, nel 1980.

Un dato che non conforta ed anzi è un cattivo presagio, perché secondo lo Stock Trader’s Almanac, l’annuario caro a quegli operatori di borsa che credono di leggere il futuro attraverso le statistiche del passato, segnala che nelle ultime sei volte in cui è mancato il rally di Natale l’anno successivo si è rivelato una delusione: in 3 casi un andamento piatto, e negli altri 3 un ribasso, nel caso del 2008 addirittura un crollo.

Dati negativi, e previsioni fosche, che gettano un ombra sulla presidenza Trump che fino a poche settimane fa brillava di successi. E’ anche vero però che gli ultimi cali di Wall Street intaccano solo lievemente la cavalcata avvenuta dalla sua nomina a oggi, il vantaggio rimane ampio (+25% circa), ma come abbiamo notato basta poco per invertire la rotta e ribaltare una situazione da fortemente positiva a pesantemente negativa. Trump ha perso il tocco magico, questo è innegabile.

Sono lontani i momenti in cui, con tutto il suo carisma lanciava promesse che istantaneamente manteneva, bastava una delle sue pompose firme per realizzare il programma elettorale, un pugno sbattuto sul tavolo e subito il contendente di turno veniva addomesticato e soggiogato al suo volere.

La deregulation bancaria, il portentoso taglio delle tasse, l’accordo al Nafta che ha “sottomesso” sia il Canada che il Messico, la risoluzione del problema Corea del Nord, tutte situazioni in cui il fascino e il potere di convincimento di Trump hanno portato risultati trionfali, a cui si aggiunge il rialzo vigoroso di Wall Street, la ciliegina sulla torta. Uno stato di grazia che oggi sembra sbiadito.

Donald Trump oggi somiglia tanto ad Apollo Creed, il pugile che prima di incontrare sulla sua strada Rocky Balboa, è un vero dio del ring, tanto che i media lo cospargono di altisonanti nomignoli: “Il rullo compressore danzante”, “lo sterminatore”, “Gancio Pancio”, persino “il Conte di Montecristo” e per finire “il virtuoso del sinistro”, tutti appellativi che ne fanno un mito. Un successo continuo, finchè sulla sua strada incrocia Rocky Balboa che lo impegna in un’ostica battaglia, sminuendo il valore di Apollo. Valore che crolla verticalmente una volta che si trova di fronte Ivan Drago.

In quegli incontri Apollo si dimena, tenta i suoi migliori colpi che fino a qualche round prima erano risultati vincenti, ma improvvisamente vanno a vuoto o risultano deboli e insignificanti. Così è la vita politica oggi per Trump, dove ogni suo gesto che prima finiva in gloria e successi, e ogni prova di forza risultava vincente, oggi è un disastro e un pasticcio costante. Dalla guerra sui dazi con la Cina, alla battaglia sul muro con il Messico che sta causando uno shutdown pesante, alle elezioni di Mid-term (per la verità un successo parziale), ai problemi causati dall’Arabia Saudita e alle questioni militari, con il procuratore Mueller che continua ad alitargli sul collo.

Ma l’errore più grave compiuto dal presidente è tutto in un tweet, quello del 18 dicembre in cui scrive: “I hope the people over at the Fed will read today’s Wall Street Journal Editorial before they make yet another mistake. Also, don’t let the market become any more illiquid than it already is. Stop with the 50 B’s. Feel the market, don’t just go by meaningless numbers. Good luck!” Parole, o meglio velate minacce rivolte alla Fed ed ai suoi membri, proprio nel giorno in cui Powell, il governatore, avrebbe dovuto annunciare la sua decisione sui tassi d’interesse e un discorso conclusivo di fine anno corredato di previsioni e indizi sulle future mosse di politica monetaria.

Nel tweet in sintesi c’era un’esplicita richiesta da parte del presidente Trump affinchè la Banca Centrale Usa leggesse gli “allarmi” economici apparsi sul Wsj, e che questi allarmi portassero a più miti consigli rispetto ad una politica sui tassi ritenuta aggressiva. In parole semplici, Donald Trump ha iniziato (cosa mai successa prima) a fare pressioni sulle decisioni della Fed, un ente di assoluta indipendenza, considerato dal mercato come un faro e una guida, e con reputazione e stima incrollabile.

Per questo, alle pressioni e alle minacce della politica, il mercato ha fatto seguito con un’esplicita disapprovazione, spingendo tutto al ribasso. La Fed e il suo presidente devono rimanere indipendenti, questo è il messaggio nemmeno tanto velato. Ma il danno peggiore di Trump è stato quello di spingere la Fed, che davanti al mondo doveva dimostrare la propria autorità e autonomia, a prendere una decisione “forzata” cioè alzare nuovamente i tassi d’interesse, scelta che in circostanze diverse e senza pressioni esterne, probabilmente non avrebbe preso.

Se fino a poco fa ogni mossa di Trump era un successo, ora risulta goffa e anzi deleteria, come nel caso della Fed, un intervento, quello del presidente Usa che sembra aver complicato ogni cosa, mettendo la Fed ed il suo governatore Powell in una posizione molto delicata. Una situazione che secondo Peter Schiff (uno dei pochi operatori a prevedere con anticipo la crisi del 2008) sembra quasi senza via d’uscita. Spavaldamente dice “sto osservando dalla spiaggia l’economia Usa implodere, siamo nei guai”, e commentando il ribasso di Wall Street aggiunge “questo non è un mercato orso, questo è il castello di carta costruito dalla Fed”.

Una critica che ricorda molto quanto dichiarato da Stanley Druckenmiller che arrivò a paragonare l’attuale politica monetaria della Fed al gioco dello Jenga. Lo Jenga è un gioco da tavolo molto semplice, mediante l’utilizzo di 54 blocchi di legno, si deve costruire una torre in cui ogni piano deve essere composto di 3 blocchi. Una volta costruita, i giocatori a turno dovranno sottrarre a scelta un blocco dalla torre e poi porlo sulla cima, rendendo così la torre sempre più instabile. Perde chi sottraendo un blocco farà crollare la torre. Secondo Druckenmiller, nell’attuale fase economica e di mercato, ogni rialzo dei tassi equivale alla rimozione di un mattone, non sai mai quale mossa farà cadere la torre, ma alla fine la torre cadrà.

Una situazione molto complicata, in cui la Fed sembra essere all’angolo, anche a causa delle intromissioni di Trump, un pugile che sta sprecando energie e fiato, senza più riuscire a piazzare un colpo che metta ko l’avversario di turno.

Starà alla Fed e alla sua politica monetaria, il vero tema dominante sui mercati, decidere cosa fare per trovare una soluzione e mantenere il castello di carte ancora in piedi. Secondo Peter Schiff, un’inflazione che ancora non da segni di vita, e un’economia incapace di sostenere tassi più alti, costringerà la Fed a riportare i tassi a zero.

Forse, semplicemente, basterebbe ridurre la quantità mensile di riassorbimento di liquidità che oggi viaggia sui 50 miliardi di dollari. Di certo, possiamo abbandonare l’idea di vedere nuovi aumenti sui tassi d’interesse a breve, sperando che Trump non compia altri errori di sorta. Farlo, costringendo la Fed a difendere la propria indipendenza, sarebbe come ricevere un pugno da Ivan Drago, ovvero una caduta di borsa, da cui difficilmente ci si potrebbe rialzare, sarebbe il ko tecnico per il toro.

@paninoelistino

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