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Economia
Ue, non solo Italia: le violazioni per deficit-debito sono costanti e numerose
Il Parlamento europeo

Si fa un gran parlare in questi giorni della discrepanza tra l'obiettivo di deficit/Pil concordato a suo tempo dal governo Gentiloni con la Ue per il 2019 (pari allo 0,8%) e quello ora previsto dalla nota di aggiornamento del Def e dunque dalla bozza di Legge di Bilancio 2019 (2,4%). Ma se l'Italia preoccupa, complice un debito pubblico accumulato che da anni è superiore al Pil (era pari al 131,2% a fine 2017) e che fatica a calare (dovrebbe scendere al 126,7% nel 2021), anche dall'analisi delle bozze inviate in questi giorni dai vari paesi membri alla Commissione Ue quella di rivedere (e sforare) gli obiettivi concordati si conferma non essere un'abitudine solo italiana, anzi.

La Francia, ad esempio, è uscita dalla procedura di deficit eccessivo, in cui era entrata nel 2009, solo nel 2017, quando il deficit/Pil è sceso al 2,7% portandosi sotto il 3% per la prima volta dal 2007, come segnala la stessa bozza di legge di bilancio francese inviata a Bruxelles l'altro ieri. Non solo: lo stesso documento ricorda come la spesa pubblica francese rappresentasse a fine 2017 il 55,1% del Pil, "una delle più elevate tra le economie avanzate" del mondo (in Italia, per contro, rappresentava il 50,2%). Mentre il debito pubblico francese, alla fine dello scorso marzo, superava i 2.255 miliardi, ossia poco meno dei 2.302 miliardi di quello italiano.

A fronte di tutto ciò, Parigi conta di limare leggermente il deficit/Pil quest'anno (2,6%) solo per vederlo risalire l'anno prossimo, complice anche un rallentamento della crescita economica, al 2,8% (contro il 2,4% concordato in precedenza). Non va meglio alla Spagna, rimasta l'unico paese membro della Ue in procedura per deficit eccessivo (procedura in cui era caduta nel 2016 insieme al Portogallo, uscito poi l'anno successivo): Madrid già a luglio ha rivisto al rialzo l'obiettivo di deficit/Pil per quest'anno dall'iniziale 2,2% al 2,7%, portando all'1,8% (dall'1,3%) quello per il 2019, obiettivo che la bozza di legge di bilancio 2019 spagnola per ora ha confermato.

Anche la "prima della classe", la Germania, sta riducendo il suo sbilanciamento, in questo caso in termini non di maggior deficit ma di minor surplus, e prevede di passare da un surplus pari circa all'1,5% del Pil nel 2018 ad uno di circa l'1% l'anno venturo. Per riuscirvi Berlino ha varato un accordo di coalizione che quest'anno impatterà molto marginalmente (-0,1% di Pil per via di un pari incremento della spesa pubblica), ma che produrrà effetti crescenti nei prossimi anni, per un impatto cumulato da qui al 2022 pari al 4%. Così Berlino conta di raggiungere un surplus strutturale dello 0,5% nel 2019, "raggiungendo così l'obiettivo di bilancio a medio termine - ossia un deficit strutturale non superiore allo 0,5% del Pil - con un considerevole margine di sicurezza".

Forse persino troppo "considerevole", considerato che la spesa pubblica in Germania (paese che ha comunque il terzo maggior debito pubblico, pari a 2.071 miliardi a fine marzo scorso) è pari al 43,8% del Pil, in linea con quella della Spagna (43,7%) che pure ha un debito pubblico inferiore (meno di 1.161 miliardi) e previsioni di crescita superiore (+2,7% quest'anno e +2,2% l'anno prossimo secondo il Fondo monetario internazionale, che per la Germania vede un Pil in crescita del'1,9% quest'anno e l'anno venturo).

Alla fine, come un cane che si morda la coda, è proprio la minor crescita italiana a preoccupare i mercati, visto il debito pubblico pregresso. L'Italia, sempre secondo il Fondo monetario internazionale, vedrà crescere quest'anno il Pil di un 1,2%, l'anno prossimo solo di un 1%. Considerando che l'inflazione è vista pari all'1,3% per l'Italia (all'1,4% l'anno venturo), significa che in assenza di stimoli la crescita nominale del Pil (crescita reale del Pil più inflazione), utilizzata per definire gli obiettivi di debito/Pil e deficit/Pil nel Patto di Stabilità europeo, non dovrebbe superare il 2,5% quest'anno e il 2,4% l'anno prossimo, ossia molto meno del costo medio del debito.

Debito che dunque tenderà ad aumentare "naturalmente", continuando a rendere difficile una discesa del rapporto debito/Pil verso quel 60% che è l'obiettivo formale che i paesi della Ue si sono dati ma dal quale a fine 2017 restavano distanti oltre all'Italia anche la Grecia (178,6%), il Portogallo (125,7%), il Belgio (103,1%), la Spagna (98%), la Francia (97%) e persino, sia pure di poco, la stessa Germania (64,1%) solo per citare i casi principali (in tutto erano 12 i paesi Ue che superavano la soglia del 60% di debito/Pil alla fine dello scorso anno).

Insomma, più che guardare al deficit in sé, gli euroburocrati di Bruxelles e molta stampa internazionale, oltre che naturalmente lo stesso governo italiano, dovrebbero interrogarsi su quali possano essere i rimedi a questa situazione, ossia come far ripartire strutturalmente la crescita economica o in alternativa come ridurre strutturalmente il fardello del debito che grava sui singoli paesi. A giudicare anche da quanto successo in Grecia, l'austerità fiscale di per sè non è una ricetta sufficiente allo scopo, dunque perché insistere solo su questo aspetto?

 

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