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Economia
Una nuova politica per utilizzare meglio i fondi Europei

Il recente rapporto dello Svimez lo ha certificato in maniera eloquente ed allarmante: il divario fra Nord e Sud Italia si sta allargando ulteriormente. Nel 2018 il Sud ha fatto registrare una crescita del PIL dell’appena +0,6%, rispetto +1% del 2017. Il dato che emerge è di una ripresa debole, in cui peraltro si allargano i divari di sviluppo tra le aree del Paese. Il gap occupazionale tra Sud e Centro-Nord, infatti, torna a crescere: nell’ultimo decennio è aumentato dal 19,6% al 21,6%. Il direttore dello Svimez, Luca Bianchi “Se procediamo con questo trend il Sud perderà cinque milioni di persone e, a condizioni date, oltre il 40% del Pil nei prossimi venti anni”.  

Per il Sud si fa poco e quel poco che si fa sono misure assistenziali più dannose che utili , come ha sostenuto sempre il direttore dello Svimez quando ha affermato, a proposito del reddito di cittadinanza, che “invece di richiamare persone in cerca di occupazione, le sta allontanando dal mercato del lavoro”. Ecco allora che in questo quadro piuttosto desolante, si parla sempre di adottare una politica di investimenti pubblici, che possa rilanciare il Mezzogiorno. Sempre prendendo spunto dai dati dell’indagine Svimez del 2019 emerge la necessità di rafforzare la capacità delle nostre amministrazioni centrali e regionali di utilizzare appieno le risorse dei fondi strutturali e di investimento europei, anche in vista del nuovo ciclo di programmazione in cui il nostro Paese potrà disporre complessivamente, tra risorse comunitarie e nazionali, di circa 60 miliardi di euro. Per quanto riguarda il periodo 2014-2020, all’Italia potrebbero andare 46,5 miliardi, ma solo il 23% dei fondi, ad oggi, è stato speso. Un ritardo inammissibile, sul quale a pesare sono come sempre le regioni del Sud. 

Nelle Regioni meno sviluppate del Sud i dati medi degli impegni e dei pagamenti dei POR ( programmi operativi regionali) della Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia sono pari, rispettivamente, al 37,46% e al 19,78% delle dotazioni finanziarie. I valori medi di attuazione per queste regioni sono inferiori di circa 7 e 4 punti percentuali rispetto al dato medio complessivo di tutti i POR. Maglia nera alla Sicilia, unica che ha dovuto restituire fondi ricevuti e non spesi, per la bellezza di quasi 10 milioni di euro. Il problema principale, sempre secondo Bianchi, “risiede nella scarsa capacità di progettazione delle opere pubbliche, è in quel contesto che nascono i ritardi e si creano le premesse per rallentare tutto il processo di impiego dei fondi”. Giudizio negativo anche sul contesto normativo “di cui è parte integrante e determinante il Codice degli Appalti – precisa il d.g. della Svimez – anche se parliamo di un aspetto secondario rispetto alla progettazione”. Accanto ad una burocrazia asfissiante, troviamo una gestione dei progetti imprecisa e imperfetta. Spesso si modifica in corso d’opera la programmazione nel tentativo di poter far rifinanziare vecchi progetti ormai rimasti incompiuti.  

Il professore della Bocconi Roberto Perotti nel 2014 aveva pubblicato uno studio dal titolo emblematico: "Il disastro dei fondi strutturali europei". Nel report si mettono a confronto i livelli di spesa su questo fronte con i pochi benefici prodotti. In questo atto di accusa il professore denuncia lo scarso interesse delle Regioni a controllare che i finanziamenti siano indirizzati verso progetti effettivamente utili dal punto di vista economico e sociale. La sua conclusione amara è che forse converrebbe rinunciare ai fondi, cosi da risparmiare il contributo che noi destiniamo a questo scopo a livello comunitario, Certo di trattava forse di una provocazione, ma è indubbio che il nostro paese sia uno dei peggiori utilizzatori di fondi comunitari di tutta Europa. La Spagna solo per fare un esempio con i fondi europei ha finanziato importanti progetti infrastrutturali e rilanciato settori importanti come agricoltura e turismo, caso vuole che si tratti proprio di due settori, che rappresentano la maggiore risorsa economica per il nostro meridione. 

In Italia invece parte dei fondi che arrivano da Bruxelles o sono utilizzati male, come per finanziare sagre ed eventi estemporanei di promozione, o non riescono a trovare utilizzo in progetti di lunga durata ed efficaci, sia a causa di una burocrazia lente e farraginosa, sia per una mancanza di raccordo, sia perché non ci sono sufficienti competenze per sfruttare i fondi, che siano in grado di mettere in atto tutta una serie di progetti che possano essere utili allo sviluppo di zone di sottosviluppo del nostro paese, come il Mezzogiorno. La Corte dei Revisori Ue ha rivelato che sulla programmazione 2007/2017 l’Italia ha accumulato quasi 1 miliardo (per l’esattezza 950 milioni) di fondi non impiegati e progetti sospesi. Peggio di noi solo la Romania. Su questo punto però occorrerebbe anche una seria critica al modello punitivo adottato dall’Europa verso chi appunto manifesta questa difficoltà nello spendere i soldi che gli spettano. Anziché punire la mancata presentazione di progetti adeguati con la perdita delle risorse l’Europa, infatti, dovrebbe prevedere meccanismi di affiancamento e supporto per aiutare i singoli Paese a varare progetti adeguati. Ma anche il governo dovrebbe lavorare per creare un clima più favorevole all’utilizzo di questi fondi. Un tentativo in questo senso fu fatto dal Governo Letta, con la creazione della nuova Agenzia per la coesione territoriale, con la mission di assistere le amministrazioni, monitorare l’uso dei soldi e pure gestire direttamente specifici progetti. Renzi poi trasferì l’agenzia sotto le competenze della presidenza del Consiglio, togliendolo al ministero dello sviluppo economico, ma il progetto è rimasto solo di facciata, dal momento che come dice Andrea Ciffolilli, esperto di politiche europee per lo sviluppo regionale e l’innovazione che ha coordinato numerosi progetti della Commissione:” il grosso delle risorse continua ad essere gestito dalle Regioni, soprattutto quelle del Sud“. Certo poi il nostro paese deve scontare anche una scarsa credibilità, alimentata dai tanti casi di truffe vere e proprie, proprio nel gestire i fondi strutturali europei. E non si tratta certo di casi isolati, visto che secondo dati raccolti dall’Ufficio valutazione di impatto del Senato i controlli fatti dalla Finanza tra 2014 e 2016 hanno riscontrato irregolarità in 6 casi su 10. Quello che servirebbe allora sarebbe forse una maggiore centralizzazione nella regia che possa contribuire ad ottenere migliori performance nell’utilizzo dei finanziamenti europei, sostenendo le aree più deboli del Paese. Lasciare fare tutto alle Regione e agli enti locali, senza preoccuparsi di creare strutture organizzate e preparate per creare progetti seri ed efficaci, si è dimostrata una scelta azzardata. E anche l’Europa ha lanciato un avvertimento: Se non verrà mantenuto un adeguato livello d’ investimenti pubblici nel Mezzogiorno, l’Italia rischia un taglio dei fondi strutturali. Lo ha detto il direttore generale per la Politica regionale della Commissione Ue, Marc Lemaitre. A buon intenditore...

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