UniCredit, Mustier mette le basi per l'M&A. E batte SocGen sul tempo
Riorganizzato il top management, il Ceo ha ora in mano tutte le leve per preparare con cura un’eventuale integrazione a livello europeo. Ma il matrimonio...
di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni
Unicredit brillante a Piazza Affari dopo aver annunciato il secondo miglior quarto trimestre degli ultimi 10 anni, battendo le attese di mercato e confermando sia la promessa di un dividendo in contanti di 27 centesimi per azione, sia i principali target per il 2019. Un anno, quello appena iniziato, che per la banca guidata da Jean Pierre Mustier si annuncia di transizione. Occorrerà infatti portare a termine l’attuale piano strategico, tra le altre cose completando la pulizia di bilancio riducendo di altri 3,7 miliardi, a meno di 15 miliardi, i crediti deteriorati “non core”, rafforzare dal 12,05% al 12%-12,5% il Cet1 e far salire l’utile netto a 4,7 miliardi (dai 3,9 miliardi del 2018).
Il tutto preparandosi a varare (la presentazione avverrà il prossimo 3 dicembre ma il lavoro entrerà nel vivo già le prossime settimane) il nuovo piano strategico, in vista del quale fin d’ora Mustier ha riorganizzato e razionalizzato il top management eliminando tra l’altro la figura di direttore generale, carica ricoperta finora da Gianni Franco Papa che lascerà l’incarico il prossimo primo giugno. Con la nuova organizzazione tutte le principali funzioni riportano ora direttamente a Mustier, circostanza che di solito è particolarmente utile quando si deve trattare un’integrazione, ma al riguardo il banchiere francese è stato chiaro: anche quest’anno la crescita di Unicredit continuerà a basarsi solo su assunzioni organiche, ossia non vi saranno acquisizioni.
Certamente non ve ne saranno in guisa di “cavaliere bianco” per qualche istituto italiano in difficoltà, come Mps o Banca Carige. Semmai si potrebbe far notare che oltralpe anche in Societe Generale si sta continuando a ristrutturare le attività (la banca ha oggi annunciato che si valuteranno le attività di mercato della divisione di investment banking per focalizzarsi su quelle più redditizie) ribadendo per bocca del suo Ceo, Frederic Oudea, di non vedere “granché da fare nel breve termine in materia di consolidamento bancario” in Europa, "almeno per i prossimi due anni". "Tenuto conto del contesto finanziario, delle incertezze economiche e regolamentari, dei problemi politici dell'Europa e dell'importanza delle trasformazioni che dobbiamo mandare in porto, non ci saranno grandi movimenti di consolidamento a breve termine", ha spiegato poi il manager francese.
"I vertici delle banche saranno focalizzati su tutti questi temi e continueranno a lavorare molto duramente sulla trasformazione dei modelli di business", ha aggiunto il Ceo, rilevando poi che l'ambizione di SocGen "e' chiara: rendere il nostro modello piu' semplice, preservare la nostra diversificazione e accelerare sulla digitalizzazione".
Excusatio non petita, accusatio manifesta? Da anni si parla di una possibile integrazione tra i due gruppi, se non altro perché lo stesso Mustier è un ex top manager del gruppo francese (tra le file del cui management ha pescato per alcune posizioni apicali per Unicredit) e dunque sarebbe il manager più indicato per gestire in prima persona l’eventuale integrazione. In questo genere di operazioni conta però, oltre alla competenza, il “peso” dei due futuri sposi: attualmente Uncredit è in vantaggio, visto che capitalizza in borsa 23 miliardi di euro contro i 20,5 miliardi circa di Societe Generale, ma non solo.
Mentre i francesi stanno ancora disegnando il perimetro di attività strategiche e stentano a migliorare la loro redditività, tanto da avere tagliato le stime sul Rote (Ritorno sul capitale tangibile) per il 2020 dall’11,5% al 9%-10%, Mustier può già dire di aver voltato pagina ed è impegnato a valorizzare gli asset (tra cui la turca Yapi Credi) e le attività “core” e a completare come detto la pulizia di bilancio così da rafforzare una redditività già in recupero (il Rote “group core” è già pari al 10,1% e non dovrebbe scendere sotto il 10% neppure quest’anno).
Per questo Mustier resta concentrato sulla crescita organica e sull’esito di alcune partite particolarmente delicate come Astaldi, verso cui Unicredit vanta crediti per 386 milioni (rispetto ai 339 milioni di Intesa Sanpaolo e ai 280 milioni di Bnp Paribas), crediti che potrebbero in parte essere convertiti in capitale tramite un aumento (a cui però difficilmente prenderebbe parte Cdp), mentre a giorni dovrebbero arrivare le offerte di Salini Impregiloe IHI.
Infine, ribadire la volontà di crescere senza acquisizioni almeno per un altro anno ha infine un ulteriore effetto positivo, quello di far accantonare ogni ipotesi su futuri aumenti di capitale necessari per operazioni straordinarie. Insomma: Mustier sente di aver superato il momento più critico e salvo incidenti di percorsi può iniziare a mettere nel mirino qualche possibile preda a livello continentale senza fretta, sapendo che quando verrà il momento potrà presentare conti ben più solidi di quelli che ha trovato a inizio 2011 quando per la prima volta entrò nel gruppo (di cui nel giugno 2016 sarebbe divenuto amministratore delegato) come vice direttore generale responsabile della divisione Corporate & investment banking (Cib).
Il 2011 infatti, complice la crisi del debito sovrano europeo, si chiuse, con Federico Ghizzoni al comando, con una perdita di 9,2 miliardi. Anche nel 2016 il neo insediato Mustier dovette tuttavia chiudere l’ultima riga di bilancio in pesante rosso (11,8 miliardi di perdita netta) a causa di 13 miliardi di svalutazioni per l’esplodere della crisi dei crediti deteriorati. Una crisi che fece accantonare ogni sogno di gloria ma ha anche impedito ai concorrenti europei di provare a lanciare un’Opa su Unicredit, dato che molti di loro, tra cui la stessa Societe Generale (o Deutsche Bank) hanno dovuto affrontare una crisi anche più seria.
Toccando ferro il 2019 dovrebbe chiudersi per il gruppo italiano con un utile più che robusto e potrebbe rivelarsi il trampolino di lancio per riprendere la crescita in Europa, questa volta non solamente in modo organico.
Commenti