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Economia
Unicredit, svolta europea e digital. Mustier rassicura sugli esuberi

Jean-Pierre Mustier prova a gettare acqua sul fuoco e dopo le accuse dei sindacati di voler scaricare sulle spalle dei lavoratori gli oneri legati alla trasformazione del gruppo in una “superholding europea”, magari in vista di future aggregazioni in Francia (con Societe Generale) o in Germania (con Commerzbank) su cui continuano a circolare rumor nelle sale operative nonostante le ripetute smentite dei diretti interessati, scrive una lettera ai dipendenti.

Una lettera in cui il Ceo di Unicredit non commenta le indiscrezioni sull’ammontare dei futuri esuberi (si parla di 10 mila posti di lavoro a rischio su 86 mila dipendenti totali attuali, metà dei quali in Italia), ma spiega: i bassi tassi d’interesse, penalizzando la redditività delle banche, obbligano a seguire la strada del recupero d’efficienza. Il che vuol dire nuovi tagli dei costi in arrivo, una sfida e relativi oneri che, nota Mustier, stanno affrontando “tutte le banche europee”.

In ogni caso, concede il manager, “ogni evoluzione sarà gestita attraverso il prepensionamento e, come sempre, in modo socialmente responsabile e in linea con le rappresentanze dei lavoratori del gruppo”. E ai sindacati che gli chiedono di chiarire che cosa abbia in mente per il futuro di Unicredit risponde, indirettamente: “so che negli ultimi tre anni vi abbiamo chiesto molto” e il sostegno dei dipendenti è stato “prezioso per renderci una banca migliore e più forte: una banca paneuropea vincente”.

Ora “siamo all’ultimo tratto del piano, con i nostri obiettivi in vista”: semplificare “i nostri processi e la nostra gamma di prodotti, attraverso l’automazione e la digitalizzazione”. Sempre meno cassieri, insomma, e sempre più app e servizi online nel futuro di Unicredit, sia che agisca da polo aggregante in Europa sia che provi a proseguire il cammino sulle sue gambe ancora per qualche anno.

Del resto lo scenario non offre molte differenti opportunità: la crescita in tutto il vecchio continente di mantiene più debole del previsto e la Bce si prepara a ulteriori riduzioni dei tassi sui depositi (già negativi) e a riprendere gli acquisti di bond sul mercato. Misure, commentano già ora gli analisti di Schroders, che colpiranno ulteriormente la profittabilità delle banche e difficilmente stimoleranno la concessione di ulteriori prestiti da parte delle banche, già oggi “piene di liquidità”.

Semmai Draghi riuscirà a rallentare l’apprezzamento dell’euro contro un dollaro che perde quota in attesa che la Federal Reserve si pieghi al volere di Donald Trump e tagli a sua volta i tassi ufficiali. Politiche monetarie sempre più rilassate da entrambe le sponde dell’Atlantico faranno forse il bene di chi ha contratto mutui e debiti a lunga scadenza, ma finiranno col portare a nuovi tagli dei costi nel settore finanziario (i primi prodromi si sono già avuti con gli annunci dati da Deutsche Bank).

Alla regola non sfuggirà Unicredit tanto più dopo aver ceduto Pioneer Investment prima e FinecoBank poi e con l’obbligo, imposto dalla Bce, di completare l’opera di pulitura del bilancio dai crediti deteriorati entro il 2024. Lo ha capito anche Matteo Salvini che pur dicendosi preoccupato “per tutti gli esuberi”, da quelli dell’Ilva alla “situazione di altre banche, penso a Carige e Popolare di Bari”, commentando le voci relative alla trasformazione di Unicredit non si sbilancia.

Il vicepremier leghista, anzi, rilancia: “se un’impresa italiana cresce e acquisisce aziende straniere, a me piace” e “questo vale per Fincantieri, per UniCredit e per Fiat”. Per poi affondare il colpo: “se non si tagliano le tasse alle imprese, tutto il resto non esiste”. Non sarà che alla fine la soluzione per la vicenda Unicredit (e per il settore bancario in generale) consisterà in una serie di agevolazioni fiscali che consentano alle banche come quella di Mustier, ma anche Mps, Carige o Popolare di Bari, di prepensionare il numero più alto possibile di dipendenti, magari in parallelo ad un rinnovato processo aggregativo?

L’ipotesi non pare così astrusa, specie alla luce della trasformazione che, in punta di piedi, si è già compiuta in questi anni. Tra il 2009 e il 2018, infatti, si è passati in Italia da 788 a 505 banche e istituti finanziari mentre il numero di dipendenti è calato da 330.512 a 278.233, senza che questo autentico esodo generasse tensioni sociali eccessive. Così se fino a qualche anno fa l’ipotesi di una Unicredit meno italiana e più europea avrebbe fatto gridare allo scandalo, ora potrebbe non scandalizzare più nessuno o quasi ed anzi essere la premessa per ottenere nuovi “scivoli” che rendano meno problematica la gestione degli esuberi.

 

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