Usa-Cina verso nuove trattative. Ma Apple si prepara al peggio sui dazi
Tim Cook valuta il trasferimento della produzione da Pechino
Gli Stati Uniti si preparano a riprendere i negoziati commerciali sulla Cina, ma Apple, industria leader hi-tech a stelle e strisce, uno dei gruppi a più elevata capitalizzazione di mercato al mondo, si prepara al worst-case scenario.
L'America è "certamente disposti" a trattare con la Cina per siglare un accordo sulle barriere tariffarie, che "è nell'interesse di entrambe le nazioni", ha spiegato stamane Robert Lighthizer, il rappresentante commerciale statunitense, nel corso della sua testimonianza alla commissione della Camera Usa chiamata Ways and Means. Solo ieri, il presidente americano, Donald Trump, aveva riferito di aver avuto una lunga telefonata con il leader cinese Xi Jinping. Una conversazione, in cui l'inquilino della Casa Bianca aveva fatto anche sapere che i due presidenti avevano deciso di vedersi per un incontro "esteso" nell'ambito del G20 previsto il 28 e 29 giugno in Giappone.
Lighthizer, che è colui che guida i negoziati con Pechino, ha affermato che è ancora presto per determinare quando le trattative formali riprenderanno dopo essersi interrotte a maggio, quando Washington accusò la Cina di avere fatto marcia indietro su impegni già presi per siglare un'intesa. Ma ha anche rivelato che intende accelerare la ripresa del dialogo, telefonando alla sua controparte cinese nelle prossime 36 ore.
Se le trattative stanno per riprendere, scenario salutato con favore dai mercati azionari, Apple invece si prepara al peggio, chiedendo ai suoi più grandi fornitori di calcolare il costo del trasferimento del 15-30% della produzione dalla Cina al Sudest asiatico.
Lo scrive il giornale giapponese Nikkei che rivela come il gruppo taiwanese Hon Hai Precision Industry (meglio conosciuto come Foxconn) solo una settimana abbia fatto sapere di essere nelle condizioni di trasferire al di fuori della Cina la produzione di tutti gli iPhone destinati al mercato americano al fine di aiutare l'azienda californiana a difendersi dalle tensioni commerciali e dai dazi del 25% ventilati dall'amministrazione Trump su 300 miliardi di dollari di importazioni cinesi.
Tra gli altri fornitori citati da Nikkei, figurano Pegatron, Wistron, Quanta Computer (produttore di MacBook), Compal Electronics (produttore di iPad) e Inventec, Luxshare-ICT e GoerTek (produttori di AirPod). Stando al giornale finanziario, Apple, che da inizio anno ha guadagnato il 26% a Wall Street, non ha fissato una data entro la quale i fornitori devono presentare i loro calcoli e sta lavorando con loro per valutare location alternative.
Secondo diverse fonti consultate dalla testata nipponica, anche se il contenzioso commerciale Washington-Pechino dovesse trovare una soluzione, per il colosso guidato da Tim Cook non ci sarebbe alcun ritorno al passato. Apple, infatti, ha deciso che i rischi legati al fare affidamento solo sulla manifattura in Cina, come ha fatto per decenni, sono troppo grandi e stanno addirittura aumentando.
"Un più basso tasso di natalità, un più alto costo del lavoro e i rischi della centralizzazione della produzione in un solo Paese: questi fattori avversi non vanno da nessuna parte", ha commentato al Nikkei un top executive vicino al dossier. "Con o senza il round da 300 miliardi di dollari di dazi, Apple sta seguendo il grande trend sulla diversificazione della produzione", ha concluso.
@andreadeugeni
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