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Economia
Venture capital, Italia come gli Usa nel '70: vale solo il 2% di 8 miliardi

Le aziende che riescono a ottenere la più alta raccolta di finanziamenti sono al Nord (+35%), nel settore del biomedicale (+20%) e hanno un management sotto i 40 anni di età (+40%). Questa è la fotografia delle start up che hanno beneficiato in Italia di finanziamenti provenienti dal venture capital, secondo il nuovo rapporto realizzato da Casaleggio Associati (www.casaleggio.it/venturecapital), che ha considerato un campione di oltre 500 aziende. Le stime degli investimenti di Venture Capital in aziende Italiane variano tra 104 e 202 milioni di euro a seconda delle tipologie di investimenti considerati e l’importo medio raccolto per finanziamento è di 3.8 milioni. Degli 8 miliardi di euro investiti nel Belpaese nel settore delle imprese innovative nel 2016, il venture capital rappresenta meno del 2%. Molto poco, se si considera che nello stesso periodo nel resto d’Europa sono stati investiti dai Venture Capital 16,2 miliardi di euro.

Un ritardo, quello italiano, che si riflette anche sull’occupazione, soprattutto nella fascia under 35. Basti dire che per ogni milione investito da venture capital in Italia si creano 12 posti di lavoro nell'azienda e 60 nell'indotto. Se si considerano tutte le startup tecnologiche, queste hanno dato impiego a 35 mila persone e l’occupazione, tra soci e dipendenti, è cresciuta rispetto al 2016 del 44,8%. Anche sul fronte del deposito dei brevetti, l’Italia è in fondo alla classifica europea con solo 67 domande depositate nel 2017 per milione di abitanti, contro le 157 della Francia e le 311 della Germania. D’altra parte il nostro Paese è in ritardo anche sugli investimenti in R&D, con un 1,3% sul PIL rispetto al 2,8% della Germania.

“Sebbene ci siano stati casi di successo come YOOX, Tiscali, Silicon Biosystems e altri, - sottolinea Davide Casaleggio, - il settore in Italia è ancora in una fase embrionale, anche se negli ultimi 4 anni c’è stato un incremento sensibile degli investimenti. Sono però ancora troppo pochi gli operatori presenti sul mercato italiano e con dotazioni in media troppo contenute per supportare le società nelle fasi più avanzate del loro percorso di sviluppo. Anche le iniziative di tipo pubblico non sono sufficienti ad accompagnare la crescita delle start up italiane che spesso sono costrette a trasferirsi negli Stati Uniti per continuare il proprio sviluppo. Un’emorragia di opportunità anche in termini di occupazione che dovremmo fare di tutto per mantenere nel nostro Paese”.

I principali attori che operano in Italia sono 9 (360 Capital Partners, Innogest, Invitalia Ventures, P101, Panakès Partners, Primomiglio, Principia, United Ventures, Vertis) e ciascuno esprime in media finanziamenti per 2,5 milioni di euro diretti in grande maggioranza al settore dell’Information Communication Technology (ICT), dei Beni e Servizi industriali e del Medicale. Un ruolo chiave è rappresentato dai Business Angel che da soli supportano il 78% delle aziende finanziate. È grazie a loro che le start up ottengono il primo supporto finanziario, il cosiddetto seed iniziale. Nella fase successiva è invece centrale l’impegno del venture capital, in particolare nei casi in cui il fabbisogno finanziario supera i 2 milioni di euro. Infine il corporate venture italiano interviene nel 30% dei casi ed è in questa fase che sono maggiormente presenti anche i finanziamenti stranieri attraverso Business Angel (19%) e Corporate Venture (4%).

All’estero, la vita delle start up è più facile anche per quanto riguarda l’entità stessa dei finanziamenti. Se il 67% delle società francesi possono contare su round provenienti da capitale estero superiori ai 50 milioni, in Italia l’azienda intervistata che ha raggiunto il migliore risultato si è fermata a 20 milioni. Il 56% delle aziende finanziate ha sede in Lombardia, il 45% a Milano, il 12% a Roma. Basilicata, Molise e Valle d'Aosta chiudono la classifica con nessuna operazione conclusa. Il fatturato medio era di 1.15 milione di euro nel 2015, di 1.9 milioni nel 2016 e di 3 milioni previsti nel 2017. La correlazione più importante con il fatturato è l’età dei fondatori: più è alta, più alto è il fatturato.

Un trend positivo confermato sia per quanto riguarda il mercato interno (quasi triplicato in tre anni), sia per quanto riguarda quello estero (raddoppiato tra il 2015 e il 2017). Sono cinque, infine, le linee di sviluppo dell’ecosistema del venture capital in Italia individuate dal rapporto di Casaleggio Associati: potenziare il capitale di rischio disponibile (l’Italia investe lo 0,002% del suo PIL rispetto ad una media europea del 0,024%); creare un coordinamento dell’intervento statale (al momento lasciate in molti casi all’iniziativa regionale); incentivare l’Open Innovation dei grandi gruppi; formare le persone all’innovazione; potenziare il sistema di crowdfunding, svincolandolo dalla necessità della sottoscrizione dell’investimento da parte delle banche.

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