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Economia
Vino, vero business in Borsa. L'indice mondiale +719% dal 2001. Ma l'Italia...

Il secondo e finora unico altro titolo vinicolo italiano, Masi Agricola, è un’azienda che produce e distribuisce vini di pregio come gli Amaroni quotatasi nel giugno del 2015 a 4,60 euro e tratta al momento al di sotto del prezzo di collocamento (4,29 euro), con pochi scambi nonostante una capitalizzazione di circa 138 milioni e l’annuncio, dato in previsione della partecipazione al 52esimo Vinitaly che si terrà a Verona dal 15 al 18 aprile, di un  nuovo spumante biologico, Campofalco, nato dalla collaborazione con Canavel Spumanti (società specializzata nella produzione di vini spumanti “premium” della quale Masi detiene il 60%).

Il futuro potrebbe però veder sbarcare in borsa altri produttori vinicoli italiani: sempre secondo l’area studi di Mediobanca, se tutte le 94 Spa e Srl del settore decidessero di sbarcare in borsa, il settore potrebbe arrivare a valere ben 5,3 miliardi di euro di capitalizzazione. La quotazione in borsa, notano gli esperti di Piazzetta Cuccia, permette alle aziende del settore di compiere un importante balzo dimensionale garantendo una maggiore visibilità internazionale e consentendo al tempo stesso di raccogliere capitali freschi sui mercati da utilizzare per investimenti in vigne, macchinari e marketing.

Il tutto vedendo il proprio equity valorizzato in media il 70% in più rispetto alla situazione attuale: basterà a convincere qualche altro gruppo italiano a sbarcare sul listino rimpinguando la pattuglia tricolore, finora sparuta? C’è da sperarlo, visto che su 50 aziende vinicole quotate in tutto il mondo otto sono cinesi, sette francesi, cinque nordamericane, quattro cilene, tre spagnole, tre australiane, due tedesche, due neozelandesi, due greche, due bulgare, e appunto due italiane. Una rappresentazione falsata dei rapporti di forza del settore che non aiuta a valorizzare appieno il comparto e merita di essere corretta nel prossimo futuro.

Luca Spoldi

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