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Economia
Vivendi, Bollorè ora gioca in difesa. Ecco perché Mediobanca non interessa più

di Luca Spoldi
e Andrea Deugeni

Mediobanca sottotono a Piazza Affari, dopo che l’assemblea dei partecipanti al patto di sindacato di Piazzetta Cuccia, riunitasi oggi sotto la presidenza di Angelo Casò, ha preso atto delle disdette anticipate, con efficacia dal primo gennaio 2019, da parte della Financiére du Perguet di Vincent Bollorè (per 69,7 milioni di azioni, pari al 7,86% del capitale) e della Italmobiliare della famiglia Pesenti (per 8,7 milioni di azioni, 0,98% del capitale).

Nagel
 

L’uscita di Bolloré, nel patto dal 2002, è arrivata a sorpresa e facendo scendere il patto sotto la soglia del 25% (al 19,63%) ne decreta lo scioglimento automatico dal primo gennaio 2019, gettando le premesse per l’adozione di un modello di “public company in cui conteranno sempre più i manager e sempre meno i singoli azionisti (che dunque avranno maggiore difficoltà a condizionare, nel caso, il Cda: dal 2019 la lista per il nuovo Cda verrà presentata dal board uscente e non più dall'assemblea del patto di sindacato). Un “liberi tutti” a sorpresa che muove da una serie di considerazioni tattiche e strategiche allo stesso tempo.

Tatticamente, per Bolloré poter disporre liberamente dei titoli Mediobanca significa poter gestire opportunisticamente la partecipazione, se del caso procedendo a cessioni al crescere delle quotazioni o in caso di necessità di cassa ad esempio per salire ulteriormente in Vivendi. Nel bilancio di Vivendi la quota di Mediobanca era valorizzata al 30 giugno scorso 659 milioni di euro (circa 9,45 euro a titolo), contro i circa 641 milioni di valore corrente di mercato (9,19 euro per azione), quindi con una minusvalenza teorica di 18 milioni, ma anche solo negli ultimi mesi il titolo è riuscito più volte a riportarsi sopra i 10 euro per azione (ad esempio tra metà aprile e metà maggio scorso).

bollore ape
 

Se gli affari dovessero continuare ad andar bene, o se lappeal speculativo dato dal processo di concentrazione del mercato bancario e dei servizi finanziari in Europa tornerà a salire anche per Mediobanca, il titolo potrebbe facilmente superare tale livello anche l’anno venturo, rendendo agevole a Bolloré (fuori dai vincoli di un patto di sindacato della propria quota azionaria) procedere ad un disinvestimento, anche in più tranche, con profitto.

Ma perché in concreto Bolloré dovrebbe uscire da un “salotto buono” in cui era arrivato grazie all’amicizia con Anthoine Bernheim, uno dei soci gerenti di Lazard, e per molti anni grande amico di Enrico Cuccia (il “padre padrone” di Mediobanca fino alla fine del secolo scorso)?

Almeno per tre motivi: primo, il “salotto buono” di Piazzetta Cuccia non è più tale, tanto è vero che le partecipazioni strategiche (“principal”) sono ormai ridotte a tre, il 13% di Generali (che dovrà ridursi entro il 10% nei prossimi mesi/anni), il 6,1% di Italmobiliare (qualche tempo trasformatasi a sua volta in una holding d’investimento e che dopo l’uscita dei Pesenti dal patto potrebbe anche non essere più così “strategica”) e il 6,6% di Rcs Media (dove l’influenza di Mediobanca è di molto calata dopo il passaggio del controllo a Urbano Cairo, assistito da Intesa Sanpaolo).

mediobanca
 

La somma delle partecipazioni azionarie, fa notare poi ad Affaritaliani.it una massima fonte finanziaria attiva nella City milanese, vale poi solo più 3,7 miliardi di euro, ossia meno della metà della capitalizzazione di mercato di Mediobanca (8,2 miliardi), a conferma che ormai Piazzetta Cuccia ha cambiato pelle e sempre più verrà valutata in base alle attività che svolge come merchant bank ma anche nel risparmio gestito e nei servizi bancari retail e non solo nell’investment banking.

Secondo motivo: l’astro del finanziere bretone non brilla più come un tempo in Italia. Se in Telecom Italia Vivendi, pur primo azionista col 23,943%, ha dovuto subire un “ribaltone” con la nomina a inizio maggio di 10 rappresentanti di Elliott Management in Cda contro i 5 rimasti al gruppo francese e si è da allora predisposta a una guerra di posizione, in Mediaset la scalata che aveva portato Bolloré al 28,8% si è risolta in un nulla di fatto, dato che Silvio Berlusconi è rimasto saldamente al comando (col 45%). Lo scenario politico non ha aiutato Bolloré: se con Renzi-Gentiloni si poteva provare a cercare una sponda per isolare l’ex premier, col nuovo governo Lega-M5S non è ipotizzabile in alcuno modo, anzi il rischio di una “perdita di sovranità” farebbe immediatamente levare gli scudi contro ogni ipotesi di presa del controllo.

vincent bollore arnaud de puyfontaine
 

A Bolloré non resterà dunque che cercare una faticosa intesa dopo mesi di ostilità che hanno messo a rischio l’antica ambizione di fare della triade Vivendi-Mediaset-Telecom Italia il perno della futura “Netflix del Sud Europa”.

Terzo ma non meno importante motivo: se la “campagna d’Italia” si è trasformata in un mezzo disastro, almeno rispetto agli obiettivi a cui Bolloré poteva legittimamente aspirare poco più di un anno e mezzo fa, anche in Francia lo scenario politico si sta facendo piuttosto turbolento, col presidente Emmanuel Macron (ex banchiere d’affari che fece la sua gavetta, come lo stesso Bollorè, presso il gruppo Rotschild) che vede la sua popolarità in caduta libera e non può certo permettersi di esporsi troppo solo per il legame d’amicizia col figlio di Vincent, Yannick Bolloré, come invece poteva fare il suo predecessore Nicolas Sarkozy (che aveva un legame d’amicizia di lunga data con Vincent).

bollorè
 

Ultimo ma non meno importante dettaglio: con una capitalizzazione di 29,4 miliardi Vivendi può apparire un colosso rispetto a gruppi come Mediaset (3,2 miliardi di capitalizzazione) o la stessa Mediobanca, ma è poca cosa rispetto ai grandi concorrenti americani come Comcast (quasi 163 miliardi di dollari), che ha appena conquistato Sky, Netflix (165 miliardi), che a fine giugno aveva superato i 130 milioni di abbonati in tutto il mondo e cresce in media di 5,5-6 milioni di abbonati a trimestre, o The Walt Disney Company (171,3 miliardi), che per 72 miliardi di dollari questa estate la maggior parte delle attività della 21st Century Fox di Rupert Murdoch.

Vincent bolloré yannick bolloré ape

 

Ciascuno di questi tre concorrenti potrebbe facilmente lanciare un’offerta su Vivendi, nel cui capitale Bolloré è salito negli ultimi mesi dal 20,5% al 26% (ma col 29,9% dei diritti di voto). Circa un altro 31% dovrebbe infatti essere in mano ai grandi fondi come BlackRock, State Street, Lyxor, Societe Generale, Lansdowne Partners, Vanguard, Amundi, Invesco, Carmignac, Fidelity e Dws e se quelli francesi potrebbero resistere alle tentazioni, molti minori dubbi avrebbero fondi e banche d’affari internazionali di fronte a un’offerta con un ricco premio rispetto ai prezzi di borsa (che da gennaio si mantengono, tra alti e bassi, attorno ai 22,5 euro per azione). E, grazie a una buona redditività associata a un debito quasi azzerato, il gruppo francese dell'enterteninment potrebbe far gola. E non poco, ai grandi colossi che, come dimostrano le operazioni Disney-Fox e Comcast-Sky, hanno messo l'acceleratore sul pedale del consolidamento. 

Insomma: mentre in Italia il finanziere bretone può avere l’interesse a focalizzare i suoi investimenti su Telecom Italia e a cercare una “pace onorevole” con Silvio Berlusconi, in casa deve iniziare a guardarsi le spalle. Ce n’è abbastanza per decidere che rimanere in un vecchio e sempre meno influente (e influenzabile) “salotto buono” sia un costoso vezzo non più coerente con la strategia del momento. Magari non subito, ma l’uscita dal patto può dunque essere il segnale dell’avvicinarsi della fine del rapporto quasi ventennale tra il gruppo Bolloré e Piazzetta Cuccia.

 

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