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Economia

Il decreto legge n. 25/17 ha abolito i voucher, consentendo l’utilizzo soltanto di quelli già acquistati alla data di entrata in vigore della norma fino al 31 dicembre 2017. L’abrogazione, motivata dall’esigenza di eliminarne gli abusi, ha creato un vuoto normativo per tutte quelle esigenze – genuine – di prestazioni di lavoro residuali ed estemporanee, realmente esistenti, alle quali l’ordinamento deve comunque dare una risposta per non alimentare il lavoro nero. Auspicando un intervento ad hoc in tal senso, la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro analizza in un approfondimento i contratti che potrebbero prestarsi a rappresentare un’alternativa ai buoni lavoro, comparandone anche i costi - su base mensile e su base oraria – per valutare i vantaggi rispetto al lavoro accessorio per il datore ed il lavoratore.

Tra le diverse forme contrattuali, il contratto di lavoro intermittente appare quello più simile a rispondere alle esigenze connesse al lavoro accessorio, perché prevede la possibilità di richiedere la prestazione di lavoro “a chiamata” soltanto quando il datore di lavoro la richiede, con un connotato di “estemporaneità” assimilabile perciò all’utilizzazione dei voucher. Il lavoro intermittente è un rapporto di lavoro subordinato a tutti gli effetti, che prevede adempimenti, formalità ed oneri tipici di questa tipologia generale. L’unico elemento di specialità è rappresentato dalla eventualità della prestazione, che può essere richiesta dal datore di lavoro quando la ritiene necessaria e senza obbligo continuo per il lavoratore, come avviene per i dipendenti nella generalità dei casi.

Il contratto di somministrazione, invece, a tempo indeterminato o determinato, è quello con il quale un'agenzia di somministrazione autorizzata mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell'interesse e sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore. Caratteristica della somministrazione è dunque questa scomposizione tra il titolare formale del rapporto di lavoro e l’utilizzatore sostanziale. È evidente sin dalla definizione del tipo di rapporto di lavoro che si tratta di un istituto destinato a rispondere ad esigenze temporanee, ma che richiede sempre - per come è strutturato e per gli adempimenti che necessita - la formalizzazione di un contratto scritto con il riferimento all’autorizzazione amministrativa dell’agenzia, la previsione della durata del rapporto, le mansioni, l’orario ed il luogo di lavoro. È evidente, quindi, che la somministrazione non si presta a soddisfare quella esigenza di semplicità di utilizzo che invece il “lavoretto” estemporaneo e circoscritto richiede.

Da ultimo la possibilità di ricorrere alle collaborazioni coordinate e continuative assegnando un’ampia autonomia alle parti, che possono determinare il contenuto del contratto delle co.co.co. come meglio credono, con ritorno di fatto alla situazione precedente all’entrata in vigore della c.d. “Riforma Biagi”. Il rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, però, deve comunque presentare un significativo connotato di autonomia della prestazione, pena l’illegittimità e la conversione dello stesso. Non è consentito, infatti, che il committente stabilisca l’orario di lavoro o determini in maniera puntuale le mansioni. Queste sono esigenze che possono legittimamente insorgere nell’ambito di un lavoro occasionale, pertanto anche la collaborazione coordinata e continuativa, pur apparentemente compatibile, non risulta idonea all’applicazione per il lavoro occasionale.






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