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Spettacoli
Favino in concorso al Festival di Cannes nei panni del pentito Buscetta

Nel film Il traditore, in concorso in questi giorni a Cannes e nelle sale il 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, Pierfrancesco Favino interpreta Tommaso Buscetta, primo grande pentito di mafia e collaboratore dei giudici Falcone e Borsellino. Ma la parte stava per andare a un altro. Per convincere il regista Marco Bellocchio a ripensarci, l’attore ha fatto una cosa che non aveva mai fatto prima. «Sentivo che non era stato proprio convinto dal mio primo provino», racconta a Vanity Fair, che gli dedica la copertina del numero in edicola da mercoledì 15 maggio. «Sapevo che non era andato come volevo. E il fatto che non mi telefonasse nessuno era tutto tranne che un buon segno. Ero consapevole che avrei potuto giocarmela meglio e sono ricorso a una mossa a cui non mi ero mai appellato nella vita. Non volevo dirmi “non hai fatto tutto quello che potevi per raggiungere il tuo obiettivo”. Quindi l’ho incontrato e gli ho detto “Marco, vorrei convincerti che posso interpretare questo ruolo”. Mi ha dato un’altra occasione».

Risultato, prima partecipazione di Favino al Festival francese, a pochi mesi dai suoi 50 anni: «È una bandierina messa su un percorso sudatissimo. Al traguardo arrivo nel momento giusto per me. Studiare forse ti rallenta, ma io volevo intraprendere un percorso, trasformare le nozioni in sfumature. Sa che Bellocchio neanche me l’ha detto?», rivela nell’intervista a Malcom Pagani. «Mi telefona e mi chiede: “Secondo te uscire in sala a maggio è una buona idea?”. È dispettoso Marco, meravigliosamente dispettoso».

Prepararsi alla parte, spiega a Vanity Fair, gli ha fatto capire alcune cose. Sulla mafia: «Esiste una distinzione netta tra mentalità mafiosa e Mafia. La mafia è l’organizzazione criminale, ma la mentalità mafiosa che non esiste solo in Sicilia, sopravvive da secoli ed è diffusa ovunque». Sul rapporto tra il pentito e Falcone: «Non ho mai creduto alla loro amicizia, ma credo si rispettassero. Il loro è il rapporto tra due predestinati. “Bisogna solo decidere chi muore per primo” dice il boss al giudice. Sa di cosa parla». Sulle debolezze di Buscetta: «È pervaso dalla vanità. È terrorizzato dall’idea di invecchiare. È alla perenne ricerca di uno status. Non a caso uno dei suoi miti è Gianni Agnelli».

Favino, che per recitare sfidò l’opposizione paterna («Gli dissi “Voglio fare l’attore” e papà rispose “Solo un coglione può fare una scelta del genere”. Risposi a tono: “Da qualcuno deve aver preso”. Poi però con lui ho ritrovato un rapporto, mi sono sentito dire “Ho capito che hai fatto tutto da solo e sono orgoglioso di te”. Ho scoperto che collezionava i ritagli di giornale con il mio nome e un po’ mi sono commosso»), a Vanity Fair racconta per la prima volta come venne a sapere della morte del padre: «È il 2002. Sono nel deserto, nei panni del sergente Rizzo, sul set di El Alamein. Un assistente di produzione mi viene incontro e mi guarda in modo strano. “Chiama tua sorella” dice, poi abbassa gli occhi. Rientro in roulotte e le telefono. “Papà non c’è più” sussurra lei. Riaggancio e ho un momento di totale scollamento dalla realtà. Mi osservo allo specchio. Nell’immagine riflessa c’è un tipo che mi somiglia vestito in modo strano. Esco all’aria aperta. È prevista la scena del suicidio di Silvio Orlando. Mi chiedono se me la senta di partecipare. Mi hanno già permesso di andarlo a trovare in precedenza, non potrò ripartire. Decido di girare. Ho un ombrellino variopinto in mano e mentre aspetto il mio turno su una sedia, il dolore mi attraversa a ondate. Mi ferisce e prima di tornare come una fitta, lascia spazio a un’assurda euforia. Mi sento una balla di fieno trasportata dal vento in un film western. Quando torno a casa, al posto di papà, c’è una pietra col suo nome».

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