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Spettacoli
Sanremo 2019/ Ultimo per le élite, primo per il popolo


Non ho guardato nemmeno una puntata di Sanremo, e non mi sento un esperto di musica, ho i miei gusti, come tutti, e per giunta non ho nemmeno mai espresso una preferenza al televoto. Infatti la polemica che ha investito Sanremo non tocca più le corde del campo melodico, ma s’infila nelle dinamiche di gestione della democrazia, e del cortocircuito esperito dai salotti contro il culto popolare.

Come si può fare un Festival della musica italiana, nazional popolare, con un sistema-meccanismo di selezione dei vincitori che poi, a fronte di una schiacciante maggioranza di preferenze da parte degli ascoltatori, finisca per vanificare il consenso del popolo? Giuria d’onore e sala stampa hanno preferito dare valutazioni soggettive sulle probabili potenzialità future di un cantante, anziché assecondare la canzone che più ha scaldato il cuore della kermesse.

Il romano Ultimo ha sbottato: "La mia vittoria, al contrario di tanti giornalisti che hanno rotto il ca**o tutta la settimana, con la presunzione di giudicare la carriera nei prossimi vent'anni di tanti artisti, sentendosi importanti, non è la vittoria al festival, è la gente che si riconosce in quello che scritto."

Già, perché Mahmood, il ragazzo italo-egiziano nato e cresciuto a Milano, ha vinto solo grazie ai “tecnici”. Infatti solo il 14,1% dei telespettatori s’è espresso a favore della canzone “Soldi”, mentre il 46,5%, ovvero oltre il triplo delle preferenze, l’ha ottenuto “I tuoi particolari”, di Ultimo che però s’è classificato secondo.

Ancora una volta, anche in campo musicale, i giornalisti sono andati contro il volere dei cittadini, volendo agire probabilmente sulle leve del sound internazionale, o più precisamente, condurre il filo politico dell’integrazione.

È stato lo stesso direttore artistico e conduttore Claudio Baglioni a caldeggiare una soluzione che elimini il senso d’élite: "O il festival diventa di nuovo solo popolare - o questa mescolanza, il fatto di avere tre o quattro giurie spezzettate rischia di essere discutibile. Qualsiasi direttore artistico che arriva a Sanremo si trova tante incrostazioni precedenti, si trovano servitù di passaggio. Poi c’è un atteggiamento timoroso nei confronti della sala stampa, si pensa che togliere il voto ai giornalisti possa suscitare un ritorno ostile, lo dico con grande franchezza. Penso che se il festival vuole essere veramente una manifestazione popolare deve essere giudicata solo dal televoto. Poi c'è la giuria d’onore, c'è il retaggio televisivo che mettendo più facce, specchio della società, pochi pensano in un modo ma si bilanciano poi i poteri".

Eccolo il qua il nodo di tutto. Il ricatto, la ripicca dei media, l’onta di una narrazione che diverrebbe selvaggia, boicottatrice nei confronti di chi dovesse prendere la decisione di liberare dalle morse dell’ipocrisia un evento che evidentemente, è molto di più di una semplice festa della musica. Nell’era del Cambiamento però, non ci possiamo permettere assenza di coraggio, specie da chi ha fatto una clip: “Capitani coraggiosi.”

Di Andrea Lorusso
Twitter @andrewlorusso

 

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