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Esteri
11 Settembre 2001-2021: così gli Usa hanno perso la guida del mondo

11 Settembre 2001. New York, gli Stati Uniti, il sogno americano e il mondo occidentale in genere subiscono l'attentato terroristico più sconvolgente della storia. 11 Settembre 2021. Si insedia il governo talebano del nuovo Emirato Islamico dell'Afghanistan. Il nuovo premier, Mohammad Hasan Akhund, figura nella lista dell’Onu di persone designate come “terroristi o associati a terroristi”. Il mullah Yaqoub, nonché figlio del celebre mullah Omar, è stato nominato ministro della Difesa. Sirajuddin Haqqani sarà invece il ministro degli Interni. Segni particolari: sulla sua testa pende una taglia da cinque milioni di dollari dell'Fbi e dà il nome a una milizia islamista ritenuta vicina ad al-Qaeda.

11 Settembre 2001-2021: dalla vendetta americana a quella islamista

Le due estremità di questi 20 anni vissuti pericolosamente fotografano già in maniera plastica il fallimento del progetto di esportazione della democrazia lanciato dall'allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush. Non solo gli americani non sono riusciti a costruire delle democrazie in Afghanistan e in Iraq, i paesi invasi durante l'azione "vendicativa" contro il terrore lanciata a poche settimane dall'attacco a Torri Gemelle e Pentagono. Ma, alla fine, hanno anche deciso di andarsene lasciando il potere a coloro che erano andati a combattere due decenni fa. 

Riavvolgiamo un attimo il nastro. Nel 2001 gli Stati Uniti sono al culmine della loro superpotenza: da un decennio circa sono rimasti l'unica superpotenza dopo la dissoluzione dell'Unione Sovietica. La democrazia e il capitalismo sono ritenuti gli unici modelli possibili. Washington e gli alleati pensano che il mondo non possa fare altro che accostarsi all'abbagliante luce americana e adeguarsi a un sistema globale a stelle e strisce. Francis Fukuyama, in un celeberrimo volume, ha parlato di "fine della storia". Stop al comunismo, stop alle autocrazie, la democrazia (ergo, gli Stati Uniti) è destinata a dominare il mondo. 

11 Settembre 2001-2021: gli errori degli Usa in Medio Oriente e la fine della superiorità morale

L'11 Settembre è visto come un pericoloso rigurgito di storia che va subito soffocato. Ma lo spaesamento non è solo psicologico di fronte all'enorme tragedia degli attentati, è anche strategico. Bush Jr. non si accontenta di interrompere il governo dei talebani ma decide di invadere anche l'Iraq con la scusa di armi di distruzioni di massa inesistenti. Washington dimostra di non avere una strategia di lungo termine. Sa come abbattere i talebani e Saddam Hussein, non che cosa fare dopo.

L'intervento americano non porta alla creazione di governi e stati forti, semmai li indebolisce ancora di più. La strategia è sempre di breve respiro: ecco perché i successi sul campo, ottenuti contro i regimi talebano e iracheno e più tardi contro l'Isis, non durano nel tempo. Instabilità e odio portano alla continua nuova insorgenza di movimenti terroristici in tutta l'area. La loro retorica è basata sulla vendetta, proprio come sulla vendetta post 11 Settembre era basata l'azione americana. Guantanamo e Abu Ghraib, oltre alla non motivata guerra in Iraq alimentano un sentimento di rivalsa e di odio che per certi versi è ancora maggiore rispetto a quello pre 11 Settembre.

La storia invece stava ancora facendo il suo corso. E il culmine della superpotenza, vent'anni dopo, assomiglia invece all'inizio di una discesa che ora Joe Biden è chiamato a fermare. Le operazioni militari in Medio Oriente si sono rivelate fallimentari. E non basta ricordare che Osama bin Laden è stato ucciso, seppur con dieci anni di ritardo e in Pakistan. In Afghanistan sono tornati coloro che si volevano sconfiggere vent'anni fa, in Iraq il prossimo ritiro militare può facilitare l'allargamento della presa territoriale (oltre che ideologica) dei gruppi terroristi mai estirpati del tutto.

11 Settembre 2001-2021: quanti favori all'ascesa della Cina

Non solo. I già citati esempi di Guantanamo e Abu Ghraib (ma non solo) hanno tolto alle azioni americane la scusa della presunta superiorità morale, come aveva saggiamente avvertito il repubblicano John McCain già nel 2002 e 2003. Ma l'11 Settembre e gli errori in serie di Washington da lì in poi hanno anche favorito l'ascesa di nuove potenze rivali, in primis la Cina. Il 2001 è anche l'anno dell'ingresso della Cina nell'Organizzazione mondiale del commercio. Un evento preso sottogamba, ma altrettanto decisivo per arrivare alla conformazione economico-geopolitica di oggi.

Con i fari puntati sul Medio Oriente, Pechino ha approfittato del "ventennio di opportunità strategiche" profetizzato dall'allora presidente cinese Jiang Zemin nel 2002. L'11 Settembre, la crisi finanziaria del 2008 e l'elezione di Donald Trump sono stati tre eventi che hanno non solo favorito l'ascesa cinese, ma hanno anche convinto Pechino e diversi altri paesi che la stella americana fosse irrimediabilmente in declino. Eventi che hanno reso più semplice portare avanti la critica alla democrazia occidentale. Ultimo tragico esempio in tal senso, l'assalto a Capitol Hill dello scorso 6 gennaio.

Oggi, gli Stati Uniti si scoprono un paese più impaurito, meno sicuro, meno "moralmente superiore", con più nemici di quell'11 Settembre 2001. Per questo ora si provano a concentrare come un tempo su un rivale principale, appunto la Cina. La sfida a due è un territorio più tradizionale e più congeniale alle mosse americane. Il mondo, però, intanto è cambiato. Non esiste più la cortina di ferro, le sfere di influenza sono molteplici e compenetrabili. La storia non era certo finita, e gli Stati Uniti vent'anni dopo l'11 Settembre sono costretti a tornare a cercare di saperla leggere.

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