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Esteri
Uno ha sfidato Putin, l'altro è fuggito: perchè Assange non è come Navalny
ALEXEI NAVALNY E JULIAN ASSANGE

Assange-Navalny, un paragone che non sta in piedi. E la ragione è comunicativa: ecco perchè

Julian Assange come Alexei Navalny? Non scherziamo. Anche se la moglie del giornalista australiano, Stella, si è infilata il vestito a lutto di Yulia Navalnaya e reclama parità di sostegno per suo marito in nome della libertà di stampa, quel paragone non sta in piedi. E tanto più è arbitrario il tentativo in corso di alcuni politici (Giuseppe Conte e Marco Rizzo, per citarne due) di allargare il discorso ai media italiani, colpevoli secondo loro di usare due pesi e due misure. Non sta in piedi, anzitutto, perché Navalny ha agito in prima persona, accusando il regime repressivo di Putin e mettendo così a rischio, tragicamente come si è visto, la sua vita. E, proprio per dare più valore al suo impegno di oppositore, ha accettato di tornare in Russia anche dopo essere sopravvissuto fortunosamente a un tentativo di avvelenamento. Assange invece è ricorso a informatori coperti e "gole profonde"; poi, quando la situazione è precipitata, si è rifugiato nell'ambasciata dell'Ecuador a Londra, e ora all'Alta Corte che deve decidere sulla sua estradizione negli Usa ha fatto recapitare un certificato medico per giustificare la sua assenza.

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Superfluo poi ricordare che la stampa, e così il sistema giudiziario, in Occidente sono pieni di difetti anche gravi, ma consentono comunque libertà di espressione e non mettono in discussione l'incolumità personale. Mentre in Russia l'elenco degli omicidi politici commessi in questo secolo riempie già pagine intere, e quello di Navalny non è nemmeno l'l'ultimo (ancora più recente l'esecuzione in Spagna del pilota russo di elicottero Maksim Kuzminov, che aveva disertato in favore dell'Ucraina).

Ma c'è una ragione particolare che deve indurci a non confondere Assange con Navalny, ed è squisitamente comunicativa. Quella compiuta dal sito Wikileaks nei confronti degli Usa infatti è da classificare come una "dark mission", ovvero una missione coperta in stile spionistico, sebbene camuffata da inchiesta giornalistica. Non è decisivo il fatto che Assange abbia incoraggiato le sue "gole profonde" ad hackerare i siti governativi americani e a derubarli, anche se così facendo ha messo a repentaglio la vita di agenti e informatori impegnati in missioni rischiose. Tutto ciò potrebbe ancora rientrare nei parametri del giornalismo investigativo, benché estremo. Il punto è che, dopo aver immagazzinato i dati un serbatoio "drop box" protetto da un potente sistema di cifrature, Wikileaks li ha trattenuti per verificarne non solo l'attendibilità, ma anche l'opportunità di diffonderli. E nessuno conosce la cosa più importante: manipolazioni a parte, che cosa è stato volutamente taciuto?

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Assange ha influito pesantemente sulla politica, stabilendo arbitrariamente che cosa e quanto dovesse essere pubblicato. Nessuno ha potuto stabilire con sicurezza i metodi di selezione del suo materiale, e i media che li hanno diffusi successivamente sono stati usati da Assange come "cassette per le lettere", un po' come era accaduto ad alcuni giornali italiani al tempo dei comunicati diffusi dalle Brigate rosse. E resta da stabilire se tutto ciò sia avvenuto in accordo con qualche entità politica o statale rimasta nell'ombra. Invocare la libertà di stampa nel caso di una "dark mission" equivale a illuminare metà della scena, lasciando l'altra accuratamente, e secondo un calcolo, nell'ombra. Per questo il caso di Julian Assange non può essere paragonato a quello di Aleksei Navalny.






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