Lo strano volo che ha fatto Donald Trump in Iraq il 26 dicembre ha destato l’interesse di coloro i quali si occupano delle strategie politiche del Presidente Usa.
Non tanto per il blitz, che rientra in una certa tradizione natalizia di visita alle truppe da sempre praticata dai Presidenti americani, quanto per la sua più che probabile connessione con l’annuncio fatto il 19 dicembre-e quindi solo una settimana prima- del ritiro delle truppe americane dalla Siria.
Annuncio questo abbastanza inatteso sebbene prevedibile in un programma tipicamente repubblicano che ha tradizionalmente nel disimpegno militare il suo punto di forza.
Ed in effetti la notizia del disimpegno militare in un’area niente ancora affatto pacificata e che contiene ancora pericolosi focolai di guerriglia Isis ha destato inizialmente un certo fastidio in Vladimir Putin e nella Turchia.
Dubbi immediatamente rientrati quando ci si è resi conto che l’abbandono americano lasciava, come si suol dire, mani libere a Russia e Turchia stesse.
Dunque è in questa ottica che deve essere visto il viaggio lampo del Presidente Usa alla base militare irachena di Asad, oltretutto nel pieno dello “shutdown” che blocca l’amministrazione federale Usa.
Trump deve essersi reso conto che la decisione del ritiro, che oltretutto ha provocato dimissioni a raffica nei vertici militari, ha compromesso la sua popolarità ed ha cercato di rimediare tornando a sostenere la presenza americana nel “teatro primario” iracheno dove gli Usa si trovano stabilmente ormai dal lontano 2003.
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