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Esteri
Draghi-Merkel, allineamento totale. Mario pronto a prendersi l'Ue post Angela

E dire che nel novembre 2011, quando venne nominato a capo della Banca Centrale Europea, i tedeschi erano a dir poco scettici su di lui. Soprattutto per il suo passaporto italiano. Quasi dieci anni dopo, invece, Mario Draghi non solo è apprezzato da quasi tutto l'arco parlamentare tedesco (elemento non trascurabile se si considera che a settembre in Germania si vota), ma soprattutto ha stretto un fortissimo legame con Angela Merkel.

Il feeling Draghi-Merkel

Un legame derivante dagli anni alla Bce, ma che sta venendo messo in pratica anche da quando Draghi è diventato il presidente del consiglio del governo italiano. Tra Mario e Angela il feeling è profondo. Basti pensare che, impossibilitato a partecipare alla colazione di lavoro dei membri del Consiglio europeo con il Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, Draghi ha delegato a intervenire proprio Merkel. Un atto di fiducia che dice più di molte parole.

"L'unica cosa su cui non siamo d'accordo è il calcio", ha detto Merkel in conferenza stampa a Berlino pochi giorni fa, dopo aver incontrato Draghi. Disaccordo che, visto il tabellone degli ottavi di finale degli Europei, potrebbe emergere solo in caso di una finale tra Italia e Germania, ma che per ora può essere tranquillamente sopito lungo il cammino che porta a Wembley.

Recovery e migranti: linea comune

Sul resto dei dossier l'unità di intenti è fortissima. A partire dal recovery, tema affrontato più volte da Draghi e Merkel a livello bilaterale in telefonate e incontri a margine di eventi multilaterali come il G7 di Cornovaglia. Anche sullo scomodo tema dei migranti, storicamente divisivo per due paesi con esigenze molto diverse, è emersa una linea comune. Nonostante l'Italia sia un paese di arrivo e la Germania sia protagonista più che altro di movimenti secondari.

Draghi e Merkel hanno convenuto sulla bontà del modello turco, cioè quel sistema attraverso il quale l'Unione Europea fornisce soldi (tanti, per l'esattezza 15 miliardi di euro dal 2002) alla Turchia di Erdogan per tenere sotto controllo la rotta mediorientale di migranti. Un sistema criticato da molti ma di cui difficilmente si può fare a meno e che i due leader hanno convenuto di ribadire (con ulteriori 5,7 miliardi da girare ad Ankara) e dover replicare anche in Africa, con lo stanziamento di fondi per i paesi di transito (Libia in primis) e di partenza, in particolare quelli turbolenti del Sahel (non a caso di recente i ministri Di Maio e Guerini si sono recati in Niger).

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