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Esteri
El Paso: per i dem colpa dell'hate speech. Ma hate crimes costanti da 20 anni

di Francesca Ronchin

Dopo l’attentato ai magazzini Walmart di El Paso, l’hate speech, il “linguaggio dell’odio”, torna sul banco degli imputati. Secondo il candidato democratico Beto O’ Rourke la carneficina del 3 agosto messa in atto da un suprematista bianco per vendicare il Texas contro l’invasione ispanica è stata causata dal linguaggio razzista di Trump. Concetto ribadito su twitter anche da Barack Obama. L’idea alla base è che l’hate speech provochi l’hate crime, il crimine d’odio. L’aveva detto anche Bill Clinton nel 1995 dopo l’attentato di Oklahoma City e sembra esserne convinta anche la Commissione Europea visto che il primo codice di condotta contro l’hate speech sottoscritto dai colossi del web (Facebook, Twitter, Youtube), scatta proprio in seguito agli attentati di Bruxelles del 2016.

Ad oggi però, spiega Giovanni Ziccardi, docente di informatica giuridica presso l’Università di Milano e autore de “L’odio on line”, non ci sono studi scientifici che dimostrino l’esistenza di un nesso tra la violenza verbale dell’hate speech e quella fisica dell’hate crime.

I dati sugli hate crime negli Stati Uniti sembrano dargli ragione.  Nel paese dove l’hate speech gode di maggiore spazio grazie al primo emendamento che garantisce la libertà d’espressione persino a neonazisti e sostenitori del Ku Klux Klan, secondo il Ministero della Giustizia i crimini d’odio effettuati tra il 2004 e il 2015 sarebbero addirittura scesi da 0.9 a 0,7 ogni mille cittadini.

Non solo. Guardando ai dati dell’FBI sugli hate crime dalle elezioni del 2016 in poi, non si riscontra un “effetto Trump” dato che come spiega la stessa agenzia, l’aumento tra il 2015 e il 2017 da 5.850 a 7.175 incidenti, dipende dall’aumento dei commissariati che hanno deciso di fornire dati in merito (da 14,997 a 16,149). Anche i picchi di reati commessi da gruppi di estrema destra negli anni ’90 e nel 2011, secondo uno studio effettuato dall’Anti Defamation League Center on Extremism fino al 2017, non dipendono da casi di hate speech ma da fatti precisi come l’elezione di Bill Clinton e l’approvazione di leggi sul controllo delle armi prima e il crollo delle Torri Gemelle nel poi.

“Proprio per l’impossibilità di dimostrare un rapporto causale tra speech e crime”  spiega Maria Romana Allegri, docente di Diritto Pubblico e della Comunicazione presso la Sapienza, “non è costituzionalmente legittimo limitare con una legge penale le espressioni di odio tranne che in casi di estrema gravità. Non a caso la legge 85 del 2006 restringe il perimetro del reato d’opinione previsto della legge Mancino tramite la sostituzione di “incitamento” con la più precisa “istigazione”.

PER LA LEGGE: RILEVANZA PENALE SOLO CON REALE PERICOLO MA SU WEB E TV PREVALE PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE

Ma cosa si intende per hate speech? Negli Stati Uniti, le rare volte in cui la Corte Suprema lo prende in considerazione, fa riferimento alla dottrina delle fighting words, secondo cui le parole possono essere equiparate ad azioni solo quando costituiscono un “clear and present danger”, un pericolo reale e imminente. L’esempio di riferimento è quello di chi gridi falsamente al fuoco in un teatro pieno di gente scatenando il panico. Non solo. Per parlare di hate speech, l’effetto aggressivo deve essere intenzionale. Lo sa bene anche Marck Zuckenberg quando in un difficile gioco di equilibri tra la disciplina americana, più incline al free speech, e quella europea, più sensibile a evitare nuove ondate di intolleranza etnica, sceglie di non cancellare le pagine facebook dei negazionisti dell’olocausto vista l’assenza di “una vera intenzione di offendere”.

Nei codici deontologici e di autoregolamentazione i confini dell’hate speech si sono estesi, specialmente in Europa, dove in assenza di una definizione universalmente riconosciuta e giuridicamente vincolante, si fa leva sul principio di non discriminazione sancito dell’articolo 14 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali. Rispetto ai codici penali la prospettiva si ribalta e dalla “grave minaccia per la sicurezza rappresentata dall’hater” il cuore del problema si sposta alla percezione soggettiva della vittima di razzismo o dell’intera minoranza che rappresenta (“le donne”, “i migranti”, “gli omosessuali” ecc).

Come l’attuale concetto di hate speech si sia distanziato dal principio del clear danger, lo dicono gli stessi codici di autoregolamentazione quando per arginare ulteriormente i rischi di razzismo e discriminazioni introducono il counter speech, la contro narrativa . L’esempio lo fa l’Agcom per spiegare come non incorrere nelle sanzioni previste dal nuovo regolamento contro l’hate speech in TV approvato lo scorso maggio. “Se un ospite afferma che “le donne che denunciano le molestie cercano pubblicità”, poiché questa è una generalizzazione discriminatoria, il conduttore deve porre rimedio con una contro narrativa che riequilibri la rappresentazione della realtà”.  Anche il Codice Deontologico contro l’hate speech sottoscritto in Europa dai colossi del web presuppone la  creazione di contro narrative.  Una mossa che preoccupa Allegri: “le piattaforme private hanno ormai il pieno controllo dell’informazione, in contrasto con una direttiva sul commercio elettronico vecchia di 20 anni che li considera soggetti neutri senza responsabilità civili o penali sui contenuti”.

Tuttavia, forse in onore del concetto originario, l’evocazione del crime a fronte dello speech, è sempre dietro l’angolo, e non solo a El Paso. Alla conferenza stampa di presentazione del 5 giugno, il provvedimento Agcom viene ritenuto opportuno perché i reati d’odio nel nostro Paese, si dice, sono cresciuti del 112% dal 2013 al 2017. Peccato però che non sia stato spiegato che il motivo non sono deprecabili impennate di cattiveria ma, come chiarisce l’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa), un miglioramento nel sistema di rilevamento e calcolo dei reati. Non solo, datoil codice penale italiano non offre una definizione di crimine d’odio, speech, crime e discriminazioni sono state messe nella stessa categoria.

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