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Esteri
La de-americanizzazione dell’Europa è un fatto

La de-americanizzazione dell’Europa — I due continenti vanno per le proprie strade. Nord America e Europa si separano, politicamente, militarmente e anche dal punto di vista culturale. Un’indicazione chiara si trova nel trattato franco-tedesco di Aquisgrana. Mira esplicitamente a creare un blocco autonomo militare, come anticipato dal Premier francese Emmanuel Macron quando ha dichiarato a novembre che: “Dobbiamo proteggerci nei confronti della Cina, della Russia e degli Stati Uniti”.

Le divergenze economiche si palesano negli scontri daziari tra gli Usa e l’Unione Europea. L’Ue ha preferito interpretarli come l’ennesima “Trumpata”, ma nei fatti rappresentano i comuni interessi dell’Establishment economico americano, da tempo impegnato a virare per confrontarsi con l’Asia. Si rivelano nell’atteggiamento tenuto nel negoziato Brexit. Bruxelles scopre ora che forse ha sopravvalutato il proprio peso e che gli inglesi hanno delle alternative. Il rischio, prossimo, è di vedere l’Inghilterra diventare una sorta di portaerei dell’economia Usa ancorata appena al di là della Manica.

La divergenza politica si vede nell’incapacità dell’élite europea a spiegarsi l’elezione di Donald Trump, in parte per il terrore di vedere una simile rovesciata in Europa. L’elettorato Usa ha voluto “spaccare tutto”—e c’è riuscito. Non si è posto troppe domande sulla competenza dell’uomo Trump. Quando i romani elessero Ilona Staller—in arte “Cicciolina”—alla Camera nel 1987, non era perché pensassero potesse essere specialmente abile nella gestione della res publica. La divergenza si nota anche nelle crescenti incomprensioni culturali e sociali, come nel caso del movimento “#metoo”. Negli Usa continua a colpire duro. In Europa, dove il fatto è passato in fretta, la reazione è spesso stata invece: “Ma cosa si aspettavano queste benedette, salendo da sole dal produttore per una cena a lume di candela?”

La sensibilità culturale di un settore, la moda, che vive di tendenze, poteva essere più acuta. Invece, sia Prada che Gucci hanno recentemente preso clamorosi buchi tentando di introdurre negli Usa prodotti che hanno profondamente offeso le sensibilità locali: accessori (Prada) e vestiti (Gucci) che si rifacevano al tradizionale trucco teatrale del “blackface” che: “nel XIX secolo consisteva nel truccarsi per assumere le sembianze stilizzate di una persona di pelle nera” per ottenere un effetto comico. Gli stilisti dovevano sapere che gli Usa sono molto sensibili a tutto ciò che sappia di razzismo e di disprezzo verso le minoranze. Non leggono i giornali? E casca un altro asino, la riduzione del flusso di notizie dagli Usa.

Con l’entrata in vigore a maggio scorso del regolamento Ue sulla protezione dei dati (GDPR), oltre a poche grandi testate regionali non molto rappresentative degli Usa nell’insieme—il Washington Post e il New York Times—si è parecchio limitato l’accesso europeo ai siti della stampa americana. Chi cerca online altri influenti giornali Usa, come il New York Daily News o il Chicago Tribune, incontra una schermata che recita: “Our website is currently unavailable in most European countries”. L’Ue ha finora registrato 59mila infrazioni GDPR, comminando multe che arrivano ai €50 milioni. Per molti editori nordamericani, informare l’Europa è un gioco complesso e costoso che non vale la candela. Per l’Ue invece, è—dovrebbe essere—un altro segnale che il Continente non è più l’ombelico del mondo.

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