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Esteri
Libia, generale Angioni: "L'Italia si faccia meno scrupoli. Francia scorretta"

Il generale Franco Angioni, già comandante del contingente italiano nella missione di pace "Libano 2" e tra i massimi esperti italiani di geopolitica, analizza in un'intervista ad Affaritaliani.it la complessa situazione legata alla Libia dopo la Conferenza di Berlino. Una conferenza che si è chiusa con un'intesa su sei punti: cessate il fuoco, embargo sulle armi, ritorno al processo politico, sicurezza degli impianti petroliferi, rispetto dei diritti umani, creazione di un Comitato internazionale che seguirà il processo di pacificazione. Ma i dubbi sul futuro restano e sulle rispettive volontà di Serraj e Haftar di rispettare fino in fondo l'intesa rimangono.

Generale Angioni, qual è il suo giudizio sulle conclusioni della Conferenza di Berlino?

Da Berlino è emersa una situazione di attesa. I due protagonisti, Serraj e Haftar, non sembra vogliano mollare, tanto che sono stati in stanze separate e non si sono presentati alla conferenza stampa finale. Tutti stanno cercando di stabilizzare i propri interessi. Certo, a Berlino si sono riuniti tutti e questo è già un fattore positivo. Ma non mi pare che nel concreto la situazione sia migliorata e la soluzione sul futuro della Libia mi pare ancora lontana.

angioniIl generale Franco Angioni

Quale può essere la soluzione?

Io credo che alla fine si possa andare verso una divisione della Libia in tre parti per garantire l'interesse di tutte le parti in causa. 

L'Italia che ruolo può e deve giocare in questo processo?

L'Italia non può sottrarsi dall'avere un ruolo in questa vicenda. La Libia è un dossier fondamentale per noi. Non dimentichiamoci del nostro rapporto storico con questo paese. Di solito viene considerata una ex colonia ma in realtà la Libia era parte del territorio nazionale italiano. Fino al 1943 la Libia era come se fosse la Lombardia. L'Italia ha fatto molto per questa sua provincia distaccata, versando in termini monetari il doppio di quanto versato per Basilicata e Calabria messe insieme. Insomma, la Libia era a tutti gli effetti una regione italiana. Ora la situazione è cambiata e in Libia si giocano molteplici interessi da più parti, con influenze lecite e illecite. L'Italia non può non essere presente in questa partita, non perché debba avere qualche velleità per così dire "imperiale", ma per gli effetti che la vicenda libica hanno direttamente sull'Italia. Per esempio per quanto riguarda il petrolio, l'energia e il flusso di migranti.

Negli scorsi anni siamo stati distratti?

Assolutamente sì. Ritengo ci fosse una forma di pregiudizio psicologico. Visto il nostro passato libico si riteneva che avessimo qualche colpa. E invece non avremmo dovuto avere tutti questi scrupoli. L'Italia ha dato molto alla Libia. Sì, è vero, sono stati commessi alcuni errori durante il periodo coloniale, ma la presenza italiana in Libia è stata molto più positiva rispetto a quella di altri paesi altrove. Paesi che oggi si fanno molti meno scrupoli di noi. Un particolare che nessuno ricorda: oggi in Libia abbiamo circa 300 militari impegnati a Misurata, con un ospedale da campo che sta facendo miracoli. I pazienti troppo gravi vengono persino trasportati a Roma in elicottero. Ripeto, cose che non si sanno. 

Ora ha visto un cambio di passo?

Sì, mi pare che recentemente si stia provando a giocare un ruolo più centrale nella vicenda libica. Certo, il ritardo accumulato nel tempo è parecchio. All'Italia serve una Libia stabile, organizzata. Non importa se in uno Stato unico o se divisa in tre entità, l'importante è che la Libia sia organizzata e stabile. Solo così verrebbero tutelati i nostri interessi in materia di petrolio e di migranti.

In Libia hanno assunto un ruolo sempre più centrale Russia e Turchia. Quali sono gli obiettivi di Mosca e Ankara? E sono conciliabili?

Sono difficilmente conciliabili, a meno che non si proceda in una logica di spartizione. L'interesse della Russia è compiere il sogno degli zar e affacciarsi sul Mediterraneo. In parte, Putin c'è già riuscito in Siria e ora ci sta provando anche in Libia. Dall'altra parte, la Turchia è protagonista di un'insorgenza di carattere coloniale in cui Erdogan vuole assumere il ruolo di guida del mondo musulmano. C'è da sperare che prevalga il desiderio di stabilità a quello di espansione.

Russia e Turchia hanno riempito il buco lasciato dagli Stati Uniti. Washington rientrerà in gioco o proseguirà nel disimpegno?

Gli Stati Uniti stanno attraversando un periodo oscuro. Questa presidenza lascia molto a desiderare, da un punto di vista politico e umano. Gli Stati Uniti hanno voluto estraniarsi sulla Libia, così come su altre vicende, ma non possono dimenticare di avere un ruolo importante a livello mondiale. Spero che la presenza del segretario di Stato Pompeo a Berlino stia a significare che c'è in atto un ripensamento in materia. Gli Stati Uniti non possono essere la soluzione del problema ma non possono nemmeno essere estranei alla vicenda. A noi serve l'interessamento di Washington, perché se gli Usa avessero un ruolo l'equilibrio tra le varie potenze in gioco sarebbe più bilanciato.

Come giudica l'azione della Francia in riferimento alla Libia? Si è spesso detto che Parigi abbia sostenuto, più o meno ufficialmente, il generale Haftar.

Non ho nulla contro la Francia, che se non è un paese fratello è almeno un paese cugino. Ma sulla Libia sono costretto a dire che l'Italia è stata trascinata in situazioni spiacevoli proprio dalla Francia, che si è sbilanciata con azioni politiche volte a difendere i suoi interessi e non alla soluzione del problema che si è aperto nel post Gheddafi. Ancora oggi mi pare che Parigi lanci il sasso e nasconda la mano. L'Italia sta pagando le conseguenze del comportamento non molto corretto da parte della Francia, che a proposito di ex colonie si fa molti meno scrupoli rispetto a noi.

Marocco e Grecia si sono lamentate per non essere state coinvolte nella conferenza.

Non si può non riconoscere che il Marocco ha fatto passi da gigante all'interno dell'area nord africana. La Grecia è stata invece messa in disparte per volontà della Turchia, che è in una fase di disputa diplomatica molto forte con Atene. Ma a breve ci saranno due basi militari navali statunitensi molto importanti in Grecia, garantendo un nuovo ruolo per Atene sulla vicenda libica e non solo.

Pare che gli Emirati Arabi abbiano invitato Haftar a continuare a combattere. Secondo lei la tregua reggerà?

Questo lo vedremo solo durante lo svolgimento delle attività. Ci saranno nuovi incontri, nuove pretese. Ci sarà molto da discutere ed è prevedibile che interessi contrapposti delle potenze coinvolte possano influenzare il processo. Ma confido in un rinnovato ruolo di bilanciamento di Washington per portare le parti in causa al dialogo.

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