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Esteri
Spagna, ennesimo fallimento di Sanchez: il flop lo indebolisce anche in Europa

Dopo tre mesi di trattative serrate, Pedro Sanchez ha dovuto arrendersi. Non avendo ricevuto giovedi scorso la investitura dal voto parlamentare, ora in Spagna si apre una fase molto delicata che probabilmente porterà il paese nuovamente alle urne per la quarta volta in quattro anni, presumibilmente a novembre. Il re ha, infatti, come da costituzione, 60 giorni di tempo per trovare una soluzione per dare al paese un governo, altrimenti la parola tornerà nuovamente al popolo.

Il problema è sorto quando Iglesias, leader della formazione di sinistra Podemos, che avrebbe dovuto appoggiare il governo Sanchez, ha chiesto per sé e per il suo partito alcuni ministeri di peso (come per esempio quello del lavoro), ricevendo un secco rifiuto dal premier e dal PSOE. Il risultato è stato che Podemos si è astenuto dal voto di investitura, facendo mancare la maggioranza al premier, che ha vinto le elezioni, ma senza ottenere la maggioranza assoluta di 176 seggi. Evidentemente per Sanchez questa è una consuetudine, essendo la seconda volta in tre anni che non ottiene la investitura parlamentare. Un vecchio proverbio africano recita che “se vuoi andare veloce vai da solo, ma se vuoi andare lontano devi essere accompagnato”, cosa che invece il leader del Psoe non gradisce molto.

Forse Sanchez è stato troppo impegnato, in questo periodo, ad accreditarsi in Europa, con i suoi frenetici incontri con Macron e Merkel, con il chiaro intento di sostituire il nostro paese fra i grandi di Europa, ha pensato che questo bastasse a renderlo più forte e più credibile anche in patria, ma non ha fatto i conti con quel Pablo Iglesias, che in crisi di consensi e di identità ha pensato bene di giocare il tutto per tutto per diventare più incisivo nella politica del nuovo governo che sarebbe dovuto nascere. Sicuramente la capacità negoziale di Sanchez ha mostrato ancora una volta tutti i suoi limiti e questo fatto non può che renderlo più debole anche in Europa, dove adesso sarà difficile per lui mostrarsi per quello che non è, e cioè un grande leader, non avendo effettivamente nemmeno la capacita di formare un governo in patria. D'altra parte da sempre Sanchez è malvisto dai notabili dello stesso PSOE, che lo considerano un leader a metà incapace di avere quel carisma e quella capacità di dialogo, che appartengono solo ai grandi politici come per esempio l'ex premier socialista Gonzales, che non a caso ha sempre avuto parole di fuoco verso il suo successore.

E prova ne è che fin dalle prime battute post elettorali Sanchez si è intestardito in una sterile polemica con Ciudadanos e con il suo giovane leader Rivera, che poteva rappresentare un'ancora di salvezza per la formazione del governo, soluzione tra le altre cose fin da subito auspicata dal mondo imprenditoriale e produttivo spagnolo. Anche la sua politica troppo accondiscendente con gli indipendentisti catalani non ha fatto che altro che surriscaldare il clima politico, rendendolo inviso a buona parte dell'establishment iberico. In Spagna da qualche tempo si sta assistendo ad una una sorta di “balcanizzazione” della politica, con i partiti più rappresentativi arroccati sulle proprie posizioni e alla ricerca di posti di prestigio per poter contare.

L'affermazione è sicuramente forte ma ben rappresenta il vero fallimento di Sanchez, troppo animato da un protagonismo che non è supportato né da una forte personalità né da un solido appoggio parlamentare, popolare e nemmeno all'interno del suo stesso partito. Certo è che se si guarda ai dati economici spagnoli si vede che i migliori risultati si sono registrati proprio nei momenti di stallo governativo, mentre nel periodo di governo Sanchez tutti i principali indicatori economici hanno mostrato una leggera flessione. Chissà, forse questo è un caso, ma certamente se questi sono i nuovi leader a cui la nostra sinistra guarda con ammirazione ed entusiasmo, si capisce bene perchè essa sembri destinata ad una palude da cui appare difficile trovare una via di uscita.

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