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Esteri
Usa 2024, il mondo si prepara a Trump. Pace con Putin (e Xi?), non con l'Iran

Che cosa può cambiare nel mondo con il ritorno di Trump alla Casa Bianca

Il mondo inizia a fare i conti con un possibile ritorno di Donald Trump. Dopo la vittoria netta al primo caucus del Partito Repubblicano in Iowa, la sensazione è che le primarie possano tramutarsi in una sorta di formalità, col tycoon dell'America Great Again pronto a rientrare alla Casa Bianca che aveva lasciato tra mille contestazioni e un assalto a Capitol Hill a inizio gennaio 2021. Il ritorno di Trump potrebbe peraltro avere degli effetti non trascurabili sul fronte internazionale, a partire dai rapporti con gli alleati fino alle crisi e ai conflitti in atto.

Secondo un recente sondaggio di CBS News, il 43% degli elettori ha dichiarato che le probabilità che gli Stati Uniti vengano coinvolti in una guerra diminuirebbero se Trump vincesse le elezioni di novembre, mentre il 39% ha affermato che le probabilità aumenterebbero. Se Biden otterrà un secondo mandato, il 49% degli elettori ha dichiarato che le probabilità che gli Stati Uniti partecipino a una guerra aumenteranno, mentre un altro 23% ha affermato che le probabilità diminuiranno sotto la guida di Biden. Il 23% ha detto che la situazione non cambierebbe se venisse rieletto.

Effettivamente, i repubblicani spingono molto sulle critiche a Biden, accusato di presunta debolezza che avrebbe favorito l'invasione della Russia e le turbolenze altrove. Trump ha detto qualche settimana fa che con lui la guerra in Ucraina finirebbe nel giro di poche ore o pochi minuti. Certamente un'esagerazione, ma non sarebbe impossibile aspettarsi un parziale disgelo con la Russia. Trump ha già dimostrato di saper alzare molto la voce ma anche di essere pronto in qualsiasi momento a incontrare chiunque, compreso Kim Jong-un. 

Il suo approccio in politica estera è d'altronde da negoziatore, mercantilistico se vogliamo. Trump è convinto che con chiunque si può trovare un accordo. Persino con Kim, persino con Putin. Già nel suo primo mandato aveva provato ad avvicinarsi alla Russia, non riuscendoci. Stavolta potrebbe provare con maggiore convinzione a mettere fine al conflitto, anche per non dover proseguire l'assistenza all'Ucraina già criticata e minacciata dai repubblicani al Congresso nelle scorse settimane.

Pace con la Russia? Forse. Ma non con l'Iran

Diverso il discorso sul Medio Oriente. Sarebbe forse quello il fronte più elettrico, con Trump che potrebbe anche aumentare il sostegno a Israele, col rischio di un potenziale allargamento delle tensioni che lui proverebbe a incanalare verso quello che ha sempre trattato come un nemico, l'Iran. Trump ha infatti stracciato nel suo primo mandato l'accordo raggiunto da Barack Obama sulla non proliferazione nucleare, colpendo anche il generale Suleimani a inizio 2020. Teheran lo vede come un nemico diretto e lui potrebbe aumentare l'appoggio a Israele senza nessuna sfumatura su Gaza e con presumibilmente un epilogo della già a dir poco accidentata strada verso la soluzione dei due stati con la Palestina. Allo stesso tempo potrebbe però rimettere in riga i sauditi sul fronte del petrolio.

Anche le future relazioni con la Cina potrebbero essere messe in discussione. In questo caso i cambiamenti potrebbero non essere così drammatici perché l'ostilità all'ascesa della Cina è bipartisan. Ma l'opposizione alla Cina sarebbe meno ideologica sotto Trump, che non si preoccupa affatto di queste differenze tra autocrazie e democrazie. Preferisce piuttosto le prime. Diventerebbe solo una gara di potere, con Trump che cercherebbe di mantenere gli Stati Uniti al primo posto. Non è chiaro come potrebbe andare a finire in modo diverso. Trump potrebbe cercare di mettere la Russia contro la Cina, come Nixon fece con la Cina contro l'Unione Sovietica. E l'abbandono dell'Ucraina potrebbe essere la sua esca.

Attenzione però al risiko delle alleanze asiatiche. Giappone e Corea del Sud ricordano con preoccupazione l'imprevedibilità di Trump, che ha talvolta applicato la sua logica economica anche al sistema di alleanze basato su una strategia prettamente geopolitica o di potenza. Con Seul arrivò quasi ai ferri corti, vista la richiesta di aumentare del 400% le spese per mantenere il nutrito contingente di quasi 29 militari statunitense nella parte meridionael della penisola. Rispetto ad allora, quel fronte si è addirittura surriscaldato. 

Dal democratico Moon Jae-in, dialogante con la Corea del Nord, si è passati al conservatore Yoon Suk-yeol che ha molto rafforzato l'alleanza militare con gli Stati Uniti operando anche un disgelo col Giappone. Di certo non vuole vedere mettere in dubbio un'alleanza giudicata quasi esistenziale. Ancora di più non vuole farlo Taiwan, che nel suo primo mandato Trump ha considerato a fasi alterne. Certo, la telefonata con la presidente Tsai Ing-wen è stato un gesto forte, forse quello che ha messo in atto una serie di eventi che hanno portato alle tensioni odierne sullo Stretto. Ma in molti non escludevano che Donald potesse anche inserire Taipei in un discorso più ampio con Pechino, eventualità che viene invece esclusa con Biden.

Attenzione anche alle Filippine, che come la Corea del Sud e ancora di più erano arrivate a un passo dalla rottura dell'alleanza militare con Washington durante l'era di Rodrigo Duterte, decisamente filo cinese. Con Marcos Junior la musica è cambiata e Manila è tornata all'ovile statunitense, ma ci si aspetta una conferma della presenza nel Pacifico e nel mar Cinese meridionale per tenere la linea.

Infine, attenzione anche all'Europa con un potenziale ritorno delle scaramucce commerciali che in realtà non sono mai del tutto scomparse nemmeno con la presidenza di Biden.

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