Roma, 8 ago. (Labitalia) - Costringere i governi a dare conto dei risultati ottenuti e dare loro consigli su come migliorarli. Sono i due scopi principali del 'Public Impact Gap', un metodo messo a punto dal Centre for Public Impact, una fondazione di The Boston Consulting Group, per misurare le performance di alcune amministrazioni paragonabili (governi o enti locali) riguardo a una serie di tematiche che hanno un effetto concreto sulla vita dei cittadini: salute, ambiente, istruzione e così via. Il metodo consiste nel trovare un indicatore misurabile, mettere a confronto alcuni Paesi simili per condizioni socio-economiche e, infine, individuare due gruppi separati all’altezza del 75mo percentile. La distanza di chi risulta indietro rispetto a questo benchmark (appunto il 75mo percentile) è il gap che i governi dovrebbero colmare. Oltre alle percentuali, c’è sempre una traduzione in termini concreti.Ne emerge, ad esempio, che l’Italia potrebbe salvare 1.500 vite all’anno se si adeguasse agli standard di riferimento. E potrebbe recuperare 1,166 milioni di studenti delle superiori. Così come in Paesi come la Nigeria si potrebbero evitare oltre 20mila morti per parto ogni anno e negli Usa oltre 22mila morti per incidenti stradali. Le analisi numeriche, tuttavia, sono solo una parte del discorso. L’altra è più costruttiva e consiste nell’analisi delle politiche migliori e nei consigli agli Stati su come migliorare le proprie performance. Gli strumenti, gratuiti, dedicati a questa parte più qualitativa, sono due: i 'Public Impact Fundamentals', che raccolgono i suggerimenti, e il 'Public Impact Observatory', che raccoglie oltre 200 casi di studio nel mondo. Ecco, quindi, punto per punto, il decalogo stilato dal Centre for Public Impact:1- Il Public Impact Gap è un metodo per misurare i risultati di un’amministrazione pubblica, nazionale o locale. Rappresenta la distanza tra quel che un’amministrazione sta facendo e quello che potrebbe fare.2- Il Public Impact Gap si basa sul confronto tra un gruppo di amministrazioni pari. Si mettono a paragone i risultati ottenuti in alcuni campi come istruzione, salute o ambiente. Chi sta al di sotto del 75mo percentile ha un gap da recuperare.3- Il pregio del Public Impact Gap è che sposta il dibattito politico dalle promesse e dalle discussioni sul budget da allocare sulle varie poste ai risultati su ciò che ha un effetto concreto sulla vita dei cittadini.4- Per i governi il rendere conto delle proprie azioni è cruciale per riconquistare la fiducia dei cittadini nei confronti dei sistemi politici.5- Oltre alla misurazione della distanza dei risultati di un’amministrazione da quella di amministrazioni paragonabili, gli studi del Centre for Public Impact si concentrano sulle cause dietro ai risultati e ai consigli su come colmare il gap.6- Il Centre for Public Impact ha messo a punto con accademici di primo livello uno strumento gratuito, chiamato Public Impact Fundamentals, per aiutare i governi a ottenere i risultati in tre aree chiave: legittimazione, policy (politiche) e azione. 7- Tale strumento si può utilizzare in accoppiata con il Public Impact Observatory, un database gratuito che raccoglie più di 200 casi di studio a livello globale sulle politiche capaci di avere un impatto sul benessere pubblico. 8- Un esempio su come misurare il Public Impact Gap è quello della frequenza di scuole superiori. Tra le nazioni dell’Ocse la partecipazione maggiore è in Corea del Sud. L’Italia ha un gap del 16% rispetto al benchmark. Se chiudesse il gap recupererebbe 1,16 milioni di studenti.9- Anche sugli incidenti stradali l’Italia ha un forte gap rispetto al benchmark. Se lo colmasse, potrebbe salvare 1.506 vite all’anno. La classifica è guidata da Svezia e Regno Unito; spiccano invece per il ritardo e le vite non salvate gli Stati Uniti (22mila vite recuperabili). 10- Nell’Africa sub-sahariana un esempio di Public Impact Gap riguarda il tasso di mortalità di parto. Sebbene inferiori agli 'Obiettivi del Millennio', i Paesi dell’area hanno ottenuto una discesa del 49% delle morti tra il 1990 e il 2015. Progressi notevoli, nonostante le difficoltà economiche, si sono avuti in Etiopia ed Eritrea (oltre che in Ruanda). Male la relativamente ricca Nigeria: ogni anno si potrebbero salvare 20.500 vite con misure sanitarie adeguate.
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