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Roma, 3 dic. (Labitalia) - A vent’anni dall’approvazione della legge sul collocamento mirato (68/1999), l’inclusione lavorativa e sociale delle persone con disabilità, pur avendo fatto passi importanti in avanti, resta ancora un traguardo lontano da raggiungere. E' quanto emerge dal Rapporto 'L'inclusione lavorativa delle persone con disabilità in Italia', condotto dalla Fondazione studi dei consulenti del lavoro sui dati resi per la prima volta disponibili dal ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, relativi alle dichiarazioni Pid (Prospetto informativo disabili) che le aziende con più di 14 dipendenti sono tenute ad inviare ai fini del rispetto dell’obbligo normativo. Secondo il Rapporto, presentato oggi in occasione della 'Giornata internazionale delle persone con disabilità', nel corso di una conferenza stampa al ministero del Lavoro dal ministro Nunzia Catalfo e dalla presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro, Marina Calderone, gli occupati con disabilità dipendenti presso le aziende italiane rappresentano un universo di quasi 360 mila lavoratori, in prevalenza uomini (58,7% contro il 41,3% delle donne), concentrati al Nord, rispettivamente il 32,6% nel Nord-Ovest e il 23,7% nel Nord-Est, con la Lombardia che, da sola, occupa ben il 21,5% del totale. Uomo, tra i 50 e 59 anni, residente al Nord Italia, impiegato: è questo il profilo del lavoratore con disabilità che emerge dal rapporto. Secondo l'indagine, infatti, ben il 53,7% degli occupati ha superato i 50 anni e il 14,3% ne ha più di 60, mentre risulta estremamente ridotta la quota di quanti hanno meno di 40 anni (17,5%). Tale dato si discosta significativamente da quello generale dell’occupazione italiana alle dipendenze, dove la quota di 'under 40' e 'over 50' è abbastanza simile (rispettivamente 36% e 34%). Si tratta di una tendenza che chiama in causa molteplici cause, dalle maggiori difficoltà che le persone con disabilità incontrano nell’ingresso al lavoro al meccanismo normativo che tende, per ragioni diverse, a sovradimensionare la componente più adulta. Dall'indagine emerge, inoltre, la pervasività del lavoro standard a tempo indeterminato, che interessa il 93,7% degli occupati, sebbene tra i giovani l’incidenza delle forme di lavoro temporaneo stia crescendo significativamente, interessando ormai il 27,9% degli occupati con meno di 30 anni e l’11,5% di quanti hanno tra i 30 e 39 anni. Sì lavoro a tempo indeterminato ma ad alta incidenza di part time, più di un terzo (34,3%) degli occupati con disabilità, infatti, lavora secondo tale modalità, ma tra i giovani la quota è più elevata, interessando il 37,1% dei 40-49enni per arrivare al 49,3% degli 'under 30'. E dalla ricerca emerge l’elevata articolazione dei profili professionali: contrariamente alla rappresentazione spesso fornita dai media, la collocazione professionale delle persone con disabilità è molto differenziata: infatti, se il 36,2% ricopre un ruolo impiegatizio nel lavoro d’ufficio, il 19,8% si colloca ai vertici della piramide professionale, svolgendo una professione intellettuale o dirigenziale (5,3%) o una professione tecnica ad elevata specializzazione (14,5%). Tra le donne il livello di qualificazione professionale risulta ancora più elevato. Dall'indagine emerge anche la netta caratterizzazione del lavoro pubblico rispetto al privato, sia da un punto di vista socio-demografico (il 49,9% delle persone con disabilità occupate nel pubblico sono donne e il 70% ha più di 50 anni) che professionale (il lavoro nel pubblico impiego è mediamente più qualificato) e, soprattutto, territoriale. Se su 100 occupati con disabilità 24 lavorano nel pubblico impiego, nel Sud Italia la percentuale sale al 34,3% (in Sardegna al 50,5%) contro il 26,6% del Centro, il 21% del Nord-Est e il 18,7% del Nord-Ovest.





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