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Milano, 11 gen. (Labitalia) - Quasi otto aziende su 10 nel mondo (78%), nell'ambito delle politiche di recruiting (ossia di reclutamento del personale), hanno come priorità la diversity inclusion per migliorare la propria cultura aziendale. Emerge dai nuovi risultati dei Global Recruiting Trends di LinkedIn, annunciati con un blogpost ufficiale. Nello specifico, i quattro trend individuati attraverso lo sviluppo di interviste mirate a oltre 9 mila professionisti nel campo Hr in tutto il mondo, sono: diversity inclusion (78%), nuovi strumenti per i colloqui (56%), analisi dei dati (50%) e intelligenza artificiale (35%)."Il mondo del recruiting oggi -spiega Linkedin- sta vivendo un momento di importanti cambiamenti. Le noiose ricerche dei candidati, la programmazione senza fine dei colloqui e la valutazione ripetitiva dei soliti professionisti rischiano ormai di avere poca efficacia. E’ tempo di cambiare il modo di fare selezione del personale concentrandosi maggiormente su attività più gratificanti di questo lavoro in cui l’elemento umano rimane il fattore più strategico".Oggi il tema della diversity inclusion è un argomento estremamente importante per molte aziende. Secondo i dati emersi dallo studio Linkedin, il 78% delle aziende ha come priorità la diversity per migliorare la propria cultura aziendale, mentre il 62% approccia il tema per migliorare le proprie performance finanziarie. Nel corso di queste interviste, inoltre, è stato riscontrato anche come i cosìddetti 'diverse team' risultino essere più produttivi, innovativi e creativi rispetto agli altri. Nonostante questo, però, ci sono ancora molte aziende che non riescono a raggiungere l’obiettivo di migliorare le proprie politiche legate a questo tema. Sempre di più i professionisti delle risorse umane si stanno rendendo conto che i colloqui tradizionali, così come li conosciamo, stanno perdendo il loro valore, diventando strumenti sempre meno efficaci nella valutazione dei candidati. Secondo gli intervistati, il principale problema dei colloqui tradizionali è la limitata capacità di individuare le soft skill dei candidati (63%) e le criticità che possono dimostrare all’interno dell’ambiente lavorativo (57%). Fortunatamente, però, la tecnologia sta aiutando i recruiter, attivando nuove strategie che offrono maggiori opportunità di comprensione dei candidati e delle loro potenzialità, oltre che delle loro attitudini, soprattutto nel lavorare in team. I risultati emersi dalla ricerca, inoltre, dimostrano che sempre più recruiter e Hr manager utilizzano l’analisi dei dati nel loro lavoro e molti prevedono di usarli ancora di più nei prossimi anni. Mentre, infatti, prima le grandi società si impegnavano per sviluppare strategie social creative e di grande impatto per coinvolgere i migliori talenti presenti sul mercato, oggi hanno la possibilità di risparmiare tempo, denaro e fatica, con una solida strategia di talent intelligence che può portarle a trovare nella maniera più semplice ed efficace un primo selezionato gruppo di candidati. Per questo motivo, il 69% dei recruiter crede che usare i dati possa dare più visibilità al proprio lavoro e migliorare quindi le proprie opportunità di carriera.Infine, il quarto trend: l'intelligenza artificiale. Ci sono già svariati software che permettono di rendere più semplici, veloci ed efficaci le ricerche dei talenti, come per esempio LinkedIn Recruiter, senza contare poi il fatto che i chatbot ormai possono dare feedback precisi e immediati per fornire informazioni puntuali alle domande dei candidati che si propongono per un’offerta di lavoro evitando di fare sprecare tempo al recruiter. Nonostante questo, però, c’è ancora qualche dubbio sull’adozione di questi sistemi innovativi da parte dei professionisti del settore e il 14% teme che l’avvento dell’intelligenza artificiale possa fargli perdere lavoro. Al contrario, invece, l’adozione di questi strumenti, sottolinea Linkdedin, permette al manager di perdere sempre meno tempo in attività noiose e poco soddisfacenti per focalizzare la propria attenzione su aspetti più interessanti del proprio lavoro.





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