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Milano, 17 lug. (Labitalia) - Internazionalizzazione non è solo export, serve un approccio integrato. Questa la sintesi del convegno 'Pmi e internazionalizzazione. Oltre il luoghi comuni', organizzato da Promos/Invest in Lombardy in collaborazione con Temporary Management & Capital Advisors e Studio Argento-Bollini-Ravera. Obiettivo del convegno era guardare ai temi dell’internazionalizzazione in un’ottica più ampia e meno convenzionale."Internazionalizzazione -spiega in un'intervista Labitalia Maurizio Quarta, Managing Partner di Temporary Management & Capital Advisors ed esperto del settore- non è solo export: di internazionalizzazione come motore del rilancio del nostro sistema economico si continua a parlare tanto, alla luce delle grandi opportunità e dei significativi spazi di miglioramento offerti dal comparto estero. E certamente l'Italia può ancora migliorare sensibilmente sia per quanto riguarda la quota dell’export sul pil, certamente non bassa, ma ancora inferiore rispetto a quella di altre economie assimilabili alla nostra (esempio Germania), sia per quanto riguarda i processi di internazionalizzazione produttiva delle nostre imprese"."Dietro il concetto di internazionalizzazione -chiarisce- si celano invece processi ben più articolati e complessi, come diverse voci hanno ben spiegato al tavolo del convegno". Per Maurizio Quarta, sono almeno tre in realtà gli aspetti da considerare: le pmi hanno bisogno di crescere dal punto di vista delle competenze manageriali per potersi avviare con successo su un cammino di crescita; internazionalizzare significa non solo export; internazionalizzare significa anche operare sui processi di attrazione degli investimenti esteri in Italia.Sul primo punto, è intervenuta Marta Testi, a capo dei programmi Elite e Elite International di Borsa Italiana/London Stock Exchange Group (Lseg). "Elite -ricorda Maurizio Quarta- è un programma mirato ad accompagnare e sostenere anche internazionalmente aziende private ad alto tasso di crescita per pianificare e gestire ulteriore sviluppo attraverso la condivisione di conoscenze ed esperienze e l'accesso ad opportunità di finanziamento"."Le aziende selezionate -afferma- per far parte del programma possono beneficiare dell'esperienza cumulata di Lseg con piccole e medie realtà e delle relazioni con la business community (business leader, imprenditori, accademici, consulenti e advisor, investitori, società di temporary management) che consentono di mettere a loro disposizione una combinazione di formazione, supporto al business, mentoring e accesso a conoscenze manageriali e a capitali in una sorta di ecosistema a valenza positiva per tutti gli attori. Ad oggi, il programma conta oltre 830 aziende in 34 differenti paesi"."Si ha però la sensazione -commenta Maurizio Quarta- che l’attenzione generale sia concentrata soprattutto sul lato export, cercando di incrementare il numero delle imprese esportatrici, trasformando in abituali quelle che sporadicamente esportano e-o hanno un buon potenziale, in modo da poter cogliere le opportunità legate alla crescita della domanda globale, con particolare riferimento a quella derivante da una classe media in crescita nei paesi emergenti e sempre più orientata verso modelli di consumo più vicini al modello di specializzazione produttiva dell’export italiano"."Provvedimenti legislativi -sottolinea- atti a favorire l’export attraverso lo strumento del temporary management non sono un fatto nuovo: a livello locale si registrano iniziative di alcune Camere di commercio, che prevedono l’affiancamento di un esperto in marketing internazionale, abbinato all’inserimento temporaneo in azienda di una risorsa junior che opererà a tempo pieno per il progetto, fino al provvedimento che prevede stanziamenti in forma di voucher per 'invogliare' le pmi a utilizzare temporary export manager"."Segnale sicuramente positivo anche nell’ottica di dare un segnale 'psicologico' al sistema, pur se la limitata dimensione quantitativa del voucher rischia di ricadere nella filosofia del dare poco a tanti, privilegiando operazioni spot mirate a un export opportunistico e di brevissimo periodo e ponendo in secondo piano strategie di internazionalizzazione più a lungo termine, che è quello che spesso manca alle aziende italiane", dice.In un’ottica più ampia, prosegue, "si potrebbe per il futuro considerare una formula più selettiva che attribuisca voucher molto più alti a meno aziende, ma capaci di presentare un piano di internazionalizzazione concreto e ragionato e che estenda il discorso anche ad altre forme di presenza più diretta sui mercati esteri, ad esempio attribuendo il voucher anche a coloro che utilizzino temporary manager locali (quindi stranieri) nei paesi di loro interesse". "Fin qui si è parlato di flussi outbound (dall’Italia verso l’estero): altrettanto importanti sono però i flussi inbound di investimenti esteri sul territorio italiano", aggiunge."Non sempre a torto -avverte Maurizio Quarta- si tende a vedere l’Italia come un paese poco attrattivo per gli investimenti esteri, sia per motivi 'strutturali' nazionali, sia per l’oggettiva difficoltà per un investitore estero, specie se non di grandi dimensioni, di potersi muovere agevolmente a livello locale"."In realtà, esistono a livello regionale - spiega - diverse iniziative volte a favorire e supportare tali investimenti: un caso di successo è quello di Invest in Lombardy (e dell’omologo Invest in Tuscany), che, attraverso la creazione di una rete di partner pubblici e privati, ad esempio nel caso del temporary management, mira non solo ad attrarre investimenti nella regione, ma anche a supportare e facilitare l’operatività degli investitori una volta che si siano insediati"."Il temporary management -sostiene- è uno strumento che può rivelarsi funzionali in tutte le situazioni descritte: non è per nulla casuale che siamo presenti come partner in Invest in Lombardy, in Invest in Tuscany e, come gruppo internazionale operante in 18 paesi, in Elite International di London Stock Exchange Group".





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