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Roma, 17 gen. (Labitalia) - "La professionalità artistica non sempre ha dei limiti. E' possibile, infatti, passare dal cinema alla letteratura, utilizzando risorse culturali e personali accumulate nel corso di una vita, che sono la dimostrazione di come oggi il mondo del lavoro non debba più avere confini stretti ed etichettati". A dirlo, in un'intervista a Labitalia, Marco Tullio Barboni, soggettista, sceneggiatore e regista che rappresenta la terza generazione di una famiglia di 'cinematografari', dopo lo zio Leonida, direttore della fotografia prediletto da Anna Magnani, e il padre Enzo creatore, con lo pseudonimo di E.B. Clucher, della saga con Terence Hill e Bud Spencer.Barboni, dopo oltre cinquanta tra film, cortrometraggi e tv-movie, scrive '...e lo chiamerai destino', che rappresenta la sua prima opera per l'editoria. "Nessun confine, né limite: il mio libro -spiega- rappresenta un salto da un cinema brillante e di avventura a un'opera letteraria che tratta addirittura del rapporto tra conscio ed inconscio"."Un 'doppio salto mortale carpiato' da un certo punto di vista -fa notare Barboni- intendendo cioè quello che mi ha proiettato al di là del cliché con cui, soprattutto tra gli addetti ai lavori, e soprattutto nel nostro Paese, viene, più che identificato, etichettato chi si è prevalentemente occupato della creazione di un certo tipo di prodotto". "Nel caso specifico - precisa Barboni - ne ho avuta immediata percezione in fase di preparazione di '…e lo chiamerai destino' quando alcuni amici dell’ambiente, informati della mia decisione di dedicarmi alla scrittura di un libro che raccontasse la storia di un personaggio analizzandola attraverso la relazione tra la sua parte conscia e quella inconscia, reagivano a questa scelta come avessi deciso di trasferirmi su una altra galassia"."Probabilmente -avverte Barboni- non è il solo ambiente in cui questa attitudine si manifesta. E, in effetti, l’espressione 'doppio salto mortale carpiato' vanta, nel mio caso, un precedente. Come quando subito dopo la maturità e le prime esperienze come aiuto regista in 'Lo chiamavano Trinità' e '...continuavano a chiamarlo Trinità' mi iscrivo all’università entrando nel giro degli assistenti del docente Aldo Moro e partecipando a uno studio su 'l’analisi della personalità del reo ai fini della determinazione della pena'". "Pochi mesi ancora -ricorda Barboni- e comincio a lavorare a tempo pieno come sceneggiatore in vari film, appunto, con Terence e Bud. Ed è dopo l’uscita di uno di questi ultimi che incontro uno dei miei colleghi di quel periodo e la sua riflessione circa il mio percorso professionale è la seguente: 'Certo che dall’analisi sulla personalità del reo ai cazzotti in testa ha fatto un doppio salto mortale carpiato'. Ecco: in questa occasione la reazione è stata la stessa. Allora era sicuramente più giustificata, ora molto meno"."Nel libro -sottolinea Barboni- affronto tematiche particolarmente complesse, tipicamente appannaggio della psicologia, e quindi molto lontane dagli argomenti affrontati nei film e nelle fiction che ha sceneggiato. Anche se il dialogo è lo strumento narrativo tipico della mia professione". "Il dialogo per tutto il corpo della narrazione tra il conscio e l’inconscio del protagonista -dice Barboni- è un espediente che consente di coinvolgere il lettore calandolo, attraverso le vicende che queste due 'entità' fanno rivivere, non solo in un modo nuovo di leggere e interpretare una storia, ma anche di avvicinarsi a una materia considerata ostica che viene invece proposta in maniera molto fruibile". "Il libro -continua Marco Tullio Barboni- si avvale di letture protratte negli anni e coltivate per pura passione e io in questo caso ho coniugato la passione con il mestiere. Quando questo è possibile si vive una situazione di assoluto privilegio che forse si scontra con le regole del mercato"."Eppure -avverte Barboni- basta pensare al cinema, ad esempio: quanti film che poi hanno innescato un filone sono stati frutto di una scommessa? Nessuno lo sa meglio di me. Quella che è stata definita la saga con Terence Hill e Bud Spencer è stata originata da un film che nessuno voleva fare perché sfuggiva a tutti i cliché. 'Lo chiamavano Trinità' era stato rifiutato da decine di produttori prima di intercettare la 'sincronicità' che ne ha consentito la realizzazione". "E io, che ero poco più di un ragazzo in quel periodo, non dimentico -assicura Barboni- l’entusiasmo con cui mio padre aveva scritto quella follia sottraendo tempo ed energie al suo lavoro di allora, quello di direttore della fotografia. Eppure, lui ritenne di doverlo scrivere ugualmente e di doverlo fare un quel modo anticonvenzionale, contro, per così dire, le regole del mercato secondo le quali solo un western sanguinario inzeppato di morti e brutalità poteva garantire il successo"."Per carità, il lavoro è sacro -rimarca Barboni- e va rispettato sempre e comunque. Personalmente, ho scritto decine di sceneggiature su commissione, sempre con la massima professionalità e cercando di dare il meglio di me stesso, ma talvolta anche con la sensazione poco appagante di stare svolgendo un compito. Scrivendo '…e lo chiamerai destino' quella sensazione non l’ho avvertita nemmeno per un istante e, non fosse stato altro che per quello, si è trattato certamente di una scommessa che andava fatta".




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