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Modena, 9 ott. (Labitalia) - Secondo la fotografia dell’Osservatorio Mecspe, presentato oggi a Modena da Senaf in occasione della quarta tappa dei 'Laboratori Mecspe fabbrica digitale, la via italiana per l’industria 4.0', il 66% degli imprenditori giudica positivamente o discretamente gli effetti sul settore, seppur esprimendo la necessità di un piano pluriennale e di una minore attenzione rivolta alle grandi imprese. In particolare, tra le iniziative previste si attribuisce grande rilevanza all’iper-ammortamento per i macchinari funzionali alla digitalizzazione (69,7%), al credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo (57,4%), al miglioramento delle infrastrutture digitali abilitanti (54,6%) e alla de-fiscalizzazione dei premi di produzione (51,1%). Al di là degli incentivi governativi, è chiara la propensione agli investimenti da parte delle imprese: quasi la metà (46,1%) dichiara che continuerebbe a destinare parte del fatturato in innovazione anche in assenza di agevolazioni, segno che la trasformazione in corso è ormai matura e culturale. C'è comunque un 22,7% che continuerebbe a farlo riducendo però gli investimenti, mentre solo il 3,9% smetterebbe totalmente. "I dati -commenta Maruska Sabato, project manager di Mecspe- mostrano segnali senza dubbio incoraggianti, non solo per i numeri che si registrano sul fronte dell’export e per il fatturato delle aziende, nettamente in aumento rispetto allo scorso anno, ma anche per il fatto che quasi 9 aziende su 10 si dicano disposte a investire nei prossimi anni nella trasformazione della loro impresa in una fabbrica intelligente"."Questo trend -spiega- indica grande attenzione e forte interesse nei confronti delle tecnologie abilitanti, percepite oramai in maniera diffusa come un utile strumento per migliorare sistemi e processi produttivi. La sfida che bisogna affrontare adesso è quella della formazione: occorre aumentare il livello di competenze digitali di tutti gli operatori del manifatturiero, affinché si possano cogliere, nel più efficace dei modi, le opportunità offerte dalla tecnologia". Si respira dunque una consapevolezza positiva, anche tirando le somme sul proprio percorso verso l’innovazione e la valutazione della propria posizione aziendale in rapporto al processo di industria 4.0: quasi la metà degli intervistati (43,7%) si sente in linea con le competenze richieste, mentre il 19% ritiene di stare precedendo le azioni dei competitor. Percezione che si estende anche ai benefici che la tecnologia sta apportando al personale: secondo il 67,6% degli imprenditori, questa è in grado di migliorare la qualità del lavoro, mentre il 49,3% è convinto che i dipendenti la vedano come un’opportunità anziché una minaccia. Dal punto di vista della preparazione complessiva che la quarta rivoluzione industriale richiede al personale nell’analisi e gestione dei dati, il livello di competenze è giudicato alto dal 19,3% degli intervistati e medio da quasi 7 imprenditori su 10. Per migliorare la formazione il 62,8% delle aziende adotta o ha intenzione di adottare delle attività dedicate alle competenze digitali, rivolgendosi a professionisti e consulenti esterni (12,8%) o adottando metodi tradizionali come letture, confronti e dibattiti, corsi (18,9%). Solo il 9,5% si affida a metodi che prevedono il supporto di strumenti tecnologici. Le pmi della meccanica e della subfornitura, che a oggi hanno introdotto nuove tecnologie abilitanti, hanno privilegiato soluzioni per la sicurezza informatica (59,5%) e la connettività (53,4%), settori in cui si registra anche il livello di conoscenza maggiore da parte delle aziende, la simulazione (28,2%), la produzione additiva (26,7%), il cloud computing (24,4%) e l’Internet of things (22,1%), che saranno oggetto di ulteriori investimenti da qui al 2018. Entro la fine del prossimo anno, dunque, l’Internet of things sarà presente nel 22,1% delle aziende, la sicurezza informatica e il cloud computing nel 20,6%, la realtà aumentata nel 15,3%. Tra gli obiettivi, però, saranno i big data a godere degli investimenti maggiori, arrivando a essere così presenti in oltre un quinto delle imprese italiane (22,9%). La digitalizzazione generale raggiunta in azienda è alta, soprattutto quando si parla di progettazione e sviluppo del prodotto (61,2%) e della relazione con il cliente e dei canali di vendita (60,4%), così come le aspettative per i prossimi tre anni. Tra gli effetti maggiormente attesi, il 63,2% prevede fino al 15% di aumento dei ricavi, mentre il 71,2% prospetta lo stesso risultato per quanto riguarda la riduzione dei costi. Ma qual è la figura driver preposta a stimolare-guidare il processo di innovazione digitale in azienda? Il 37,2% indica l’imprenditore. A seguire, il direttore-responsabile It (14,9%), il direttore tecnico (8,1%) e il direttore ricerca sviluppo (6,1%). Al momento, i principali fattori di rallentamento della digitalizzazione sono rappresentati da un rapporto incerto tra investimenti e benefici (per il 46,2% delle aziende), dall’arretratezza delle imprese con cui si collabora (43,1%), dalla mancanza di competenze interne (29,2%) dall’assenza di un’infrastruttura tecnologica di base adeguata, nonché dagli investimenti richiesti troppo alti (26,2%), dalla mancanza di una chiara visione del top management (24,6%) e da troppi dubbi sulla sicurezza dei dati e possibilità di cyber attack (17,7%). Per quanto riguarda gli investimenti nei prossimi anni, ben l’86,2% delle aziende è disposto a investire una quota del proprio fatturato per trasformare l’impresa in una fabbrica intelligente, con quasi 3 su 10 orientate a superare la quota del 10%. Solo il 13,8% non intende effettuare investimenti. L’andamento aziendale attuale risulta complessivamente soddisfacente per le imprese del comparto della meccanica e della subfornitura, con il 61,8% degli imprenditori che parla di performance aziendale molto positiva, il 32,7% che si dice mediamente appagato e solo il 5,5% contrariato. Soddisfazione che si può in parte spiegare guardando, in prima battuta, all’andamento generale nel I semestre 2017 e alle previsioni per l’anno in corso. Nella prima metà del 2017 rispetto al 2016, infatti, i fatturati hanno registrato una crescita per il 48,8% delle aziende, mentre il 40% dichiara stabilità e il 11,2% un calo. Un aumento significativo anche dal punto di vista del confronto con il 2016, con ben 9,7 punti percentuali in più. Il portfolio ordini è giudicato adeguato ai propri livelli di sostenibilità finanziaria dal 77,6% delle imprese, contro un 22,4% per cui è insufficiente. Per quanto riguarda le previsioni per la restante parte dell’anno in corso, sul fronte dei fatturati il 57,9% si aspetta una crescita, il 31,8% stabilità e il 10,3% prospetta un calo. Numeri decisamente migliori rispetto a quelli di un anno fa, quando la percentuale delle aspettative positive era solo del 37,1%.L'export resta fattore di traino per le pmi italiane con quasi 8 su 10 (78%) che dichiarano di esportare i propri prodotti e servizi, con un’incidenza variabile. Il 33% dichiara di realizzare all’estero meno del 10% del proprio fatturato, l’11,6% 'dall’11% al 25%', il 15,8% 'dal 26% al 45%', l’11,6% 'dal 46% al 70%' e il 6% 'oltre il 70%'. Chi esporta punta prevalentemente verso gli Stati dell’Europa centro-occidentale (84,1%), seguiti da quelli dell’Europa dell’Est (37,6%) e del Nord America (30,6%). Circa il 23,6% esporta in Asia, mentre il Medio Oriente per il 17,2%, la Russia per il 15,9%, il Sud America per il 14,6%, l’Africa Settentrionale per il 10,2%, l’Oceania per il 6,4% e l’Africa Meridionale per il 3,8% rappresentano gli altri mercati di sbocco. Non ci sono dubbi sul futuro del mercato in cui si trovano a operare le singole aziende: nei prossimi 3 anni, solo il 6,6% si aspetta una contrazione dello scenario in cui opera contro un 59,1% apertamente convinto dello sviluppo del proprio mercato di riferimento e un 34,3% che crede non ci saranno grosse variazioni rispetto all’andamento attuale.





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