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Bruxelles, 24 mar. (Labitalia) - "L'Ue riscopra lo slancio delle origini e investa in politiche industriali". Così Maurizio Primanni, che ha lavorato a lungo negli Usa e a Londra, e oggi ceo di Excellence Consulting, società di consulenza del settore bancario, in un'intervista a Labitalia. "L’Unione europea -sottolinea-nacque 60 anni fa per abbattere barriere, fu uno slancio straordinario per le economie dei paesi membri. In particolare, dal 2000 in avanti e maggiormente dopo il 2008, l’Unione ha dimenticato quello slancio, agendo più che altro in chiave difensiva". "L’Ue -ricorda- è diventata l’area dei controlli produttivi, delle normative a difesa dei consumatori, degli organismi di controllo sovranazionali. Ci si sta focalizzando tanto sul presente, ma manca un serio investimento sul futuro: quello in vere e potenti politiche industriali capaci di valorizzare le diverse competenze settoriali dei Paesi membri. Niente di particolarmente nuovo o complicato, occorre un bel piano industriale a livello europeo, simile a quanto stanno facendo da tempo i cinesi e che ha consentito alle loro aziende di diventare tra i maggiori player mondiali un po’ in tutti i principali settori economici"."La Cee -chiarisce- nacque sostanzialmente per creare un mercato più ampio, per limitare i dazi, aumentare la concorrenza a livello europeo. La fase iniziale fu di grandissimo stimolo e positiva per tutte le economie degli Stati aderenti. La prova del successo è che i Paesi aderenti sono via via aumentati, dagli iniziali 6 fondatori ai 27 di oggi. In una seconda fase, che a mio parere si può fare coincidere con l’inizio dell’anno 2000 e che continua, il miglioramento non è più stato generalizzato, ma in alcune aree c’è stata una dinamica stagnante. Certo, nel 2008 si è verificata la più grande crisi economica degli ultimi cent’anni, ma l’Unione ha fatto i suoi errori"."Con il mercato unico -sottolinea- le imprese italiane hanno avuto l’opportunità di accedere ai mercati dei Paesi dell’Unione e hanno tratto profitto in maggiori esportazioni. Dall’altra parte, le imprese gli Stati membri hanno potuto fare lo stesso nei confronti dell’Italia. Tutto ciò va inquadrato nell’ambito della struttura imprenditoriale italiana, che come noto è costituita in notevole parte da pmi: quelle che avevano competenze, capitali e visione purtroppo una minoranza per affrontare un processo di internazionalizzazione ne hanno tratto giovamento, quelle che non le avevano hanno sofferto e subito la concorrenza estera sul mercato domestico". "Anche così -ammette- si spiega la crisi di alcuni settori come quello delle ceramiche, del mobile e delle calzature. Il problema più grande è stata la nostra incapacità di fare squadra, i tanto decantati distretti industriali si sono rilevati non in grado di affrontare la sfida del mercato unico europeo"."Tra i principi fondanti e le politiche dell’Ue -continua Primanni- ci sono non solo il libero mercato, ma la libera circolazione delle persone, politiche per la sicurezza e il sociale, finanziamenti per la ricerca e l’innovazione. Tutto ciò è stato un bene per i giovani, si pensi solo al programma Erasmus. C’è però un limite: il bilancio Ue è pari all’1% del reddito nazionale lordo dell’insieme degli Stati membri, il che non è tanto. In questo modo, si spiegano gli investimenti limitati e i risultati non significativi in termini di stimolo all’innovazione e alla ricerca e sviluppo, piuttosto che in politiche per rilanciare l’occupazione giovanile in generale"."L’euro ha aiutato -ammette- ma ha generato confusione, nel senso che oltre l’unione monetaria avrebbero dovuto essere fatte anche altre scelte egualmente importanti. L’opinione pubblica, ma anche molti politici, associano il miglioramento o il peggioramento dell’economia alla moneta. In realtà, quest’ultima non ha impatto immediato sulle dinamiche di un’economia, più rilevante sarebbe stato avere una politica industriale a livello europeo maggiormente proattiva". "L'euro, la moneta, è stata utile negli anni di crisi -fa notare- come quelli recenti, per arginare il rischio di pesanti movimenti speculativi; ricordiamo che qualche anno addietro il finanziere George Soros è diventato un magnate utilizzando il suo fondo di investimento per speculare contro la sterlina, che fu a un passo dal default". "L’equivoco -sostiene- nasce anche dal fatto che la moneta nazionale, come era la lira, poteva essere svalutata a piacere per stimolare le esportazioni, e tale strumento è stato molto utilizzato nella Prima Repubblica per alimentare la competitività delle nostre imprese. Ma non dimentichiamo che la svalutazione genera inflazione, il che nel medio termine significa impoverimento generale della popolazione".





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