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Roma, 21 feb. (Labitalia) - Aumenta il numero degli occupati, mentre decresce rispetto al 2015 il numero di pensionati, che si riduce di quasi 115.000 unità: il rapporto attivi/pensionati tocca quindi nel 2016 quota 1,417, dato migliore dal 1997 (primo anno utile al confronto); il tutto mentre la spesa pensionistica pura è aumentata dal 2015 al 2016 del solo 0,22%. Nel triennio 2014-2016 si registra un incremento medio annuo dello 0,57%, tra i più bassi di sempre. Sono queste alcune delle principali evidenze emerse dal Quinto Rapporto 'Il Bilancio Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2016', a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.Presentato quest’oggi al governo e alle commissioni parlamentari, il documento, realizzato con il patrocinio del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, fornisce una visione d’insieme del complesso sistema di welfare italiano, illustrando gli andamenti della spesa pensionistica, delle entrate contributive e dei saldi nelle differenti gestioni pubbliche e privatizzate che compongono il sistema pensionistico del Paese e opera al contempo un’utile riclassificazione della spesa all’interno del più ampio bilancio dello Stato."Nel pieno di una campagna elettorale nella quale 'promesse e proclami' si sono concentrati sul tema delle pensioni e dell’assistenza -ha detto Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali- argomenti che interessano da vicino un’ampia platea di potenziali elettori, come ad esempio i 16,1 milioni di pensionati italiani (più di 8 dei quali totalmente o parzialmente assistiti dallo Stato) o, ancora, quanti anelano alla giusta quiescenza, diventa quanto mai indispensabile fare chiarezza grazie ai numeri. Numeri che evidenziano innanzitutto come, al di là dell’opinione comune supportata dai dati Istat, la dinamica della spesa per le pensioni sia assolutamente sotto controllo". Nel 2016, la spesa pensionistica italiana relativa a tutte le gestioni ha raggiunto, al netto della quota Gias (vale a dire la gestione per gli interventi assistenziali), i 218.504 milioni di euro, mentre le entrate contributive sono state pari a 196.522 milioni di euro, per un saldo negativo di 21.981 milioni. A pesare sul disavanzo, in particolare, la gestione dei dipendenti pubblici, che evidenzia un passivo di ben 29,34 miliardi parzialmente compensato dall’attivo di 2,22 miliardi del Fondo pensione lavoratori dipendenti, il maggior fondo italiano, e dai 6,6 della gestione dei parasubordinati. Rispetto al 2015, aumentano invece del 2,71% i contributi versati: si riduce quindi di 4,56 miliardi il saldo negativo di oltre 26 miliardi registrato nel 2015. Prosegue nel 2016 la riduzione del numero di pensionati, che ammontano a 16.064.508 unità, segnando il punto più basso dopo il picco del 2008. Tocca invece il massimo livello di sempre il rapporto tra occupati e pensionati, dato fondamentale per la tenuta di un sistema pensionistico a ripartizione come quello italiano. Con un numero di prestazioni in pagamento a propria volta in diminuzione, interessante invece notare come il rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e numero di pensionati sia pari a 1,43, dato più elevato dal 1997, il rapporto tra numero di prestazioni in pagamento e popolazione tocca invece quota 2,638, di fatto una prestazione per famiglia (spesso di tipo assistenziale).Nel 2016, risultano in pagamento in Italia 4,1 milioni di prestazioni di natura interamente assistenziale (invalidità civile, accompagnamento, di guerra) e ulteriori 5,3 milioni di pensioni che beneficiano, in una o più quote, di parti assistenziali (maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo, importi aggiuntivi etc). L’insieme delle prestazioni ha riguardato 4.104.413 soggetti, per un costo totale annuo di oltre 21 miliardi di euro (+502 milioni e +2,41% rispetto al 2015). Per queste prestazioni, ricorda il Rapporto, non è però stato di fatto versato alcun contributo (o, a più, sono state versate contribuzioni modeste e per pochi anni). "In questa prospettiva - commenta Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali - separare la spesa previdenziale da quella assistenziale è un 'esercizio' necessario su più fronti".Innanzitutto, a livello contabile,"perché consente -spiega Brambilla- di fare chiarezza su spese molto diverse tra loro per finalità e modalità di finanziamento, ma che troppo spesso sono impropriamente comunicate, come se fossero assimilabili tra loro". E poi si tratta, prosegue, "di un esercizio di equità tra chi ha versato e chi no: non bisogna infatti dimenticare che il nostro modello di welfare prevede per finanziare le pensioni una tassa di scopo, i contributi sociali, mentre l’assistenza è finanziata dalla fiscalità generale".





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