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Roma, 17 giu. (Labitalia) - L’azienda Pighin, ambasciatore del vino friulano tra i più conosciuti nel mondo, scrive un nuovo e sfidante capitolo della sua storia portando nel mercato israeliano i 'gioielli' della sua produzione vitivinicola. L’azienda friulana, ubicata nella culla della più alta tradizione vinicola del Friuli, Risano nelle Grave e Capriva nel Collio, sbarca infatti in Israele per raccontare attraverso i suoi vini la storia di due terroir Doc, oggi disponibili nel canale Horeca. “Siamo orgogliosi di essere stati scelti da un’importante società di importazione e distribuzione leader del mercato israeliano - racconta Roberto Pighin, titolare dell’azienda - e siamo desiderosi di cogliere tutte le interessanti e concrete opportunità commerciali che questo Paese può offrire”. Di antica tradizione ed elemento di benedizione di ogni occasione sociale, per lungo tempo il vino è stato prodotto in Israele soprattutto per motivi religiosi con scarsa attenzione alla sua qualità. Negli ultimi 30 anni si è registrata tuttavia un’inversione di tendenza e oggi il comparto vino rappresenta una realtà dinamica e in espansione: attualmente si contano circa 300 aziende con vigneti che coprono circa 6.000 ettari (78% uve rosse e 22% bianche) per 336.000 ettolitri annui di vino prodotti. Questi sono consumati prevalentemente in loco, con un 15% destinato all’esportazione. Per quanto piccolo sia il comparto del vino israeliano, presenta una notevole variabilità di zone e climi con alcune macroaree: la Galilea, la Samaria, il Samson, le Colline della Giudea e il deserto del Negev, ciascuna con microclimi molto variabili anche ogni 2 o 3 chilometri. Le varietà più diffuse sono Cabernet, Carignan e Merlot, che coprono il 50% della produzione. Un ulteriore elemento caratterizzante questo mercato, abitato da una popolazione per il 20% di religione mussulmana e per il restante di religione ebraica, è che il vino consumato deve essere kasher ovvero idoneo al consumo nel rispetto dei dettami religiosi e possedere la relativa certificazione. Per essere kasher le uve, dalla vendemmia all’imbottigliamento, devono essere manipolate solo da ebrei osservanti che ne certificheranno poi l’idoneità al consumo nel rispetto delle regole alimentari previste dalla religione ebraica. Non è tuttavia obbligatorio per il vino venduto in Israele avere il certificato del Rabbinato anche se ad oggi l’85% del vino venduto e consumato in Israele e tutta la produzione nazionale è kasher. Il 70% del vino venduto in Israele si vende nell’area metropolitana di Tel Aviv, quella che viene chiamata la Grande Tel Aviv, che è la città più cosmopolita del paese. E sarà proprio nei ristoranti e alberghi della Città e nelle boutique wineries sempre più diffuse nel Paese che sarà possibile trovare e degustare alcune delle etichette dell’azienda friulana Pighin.





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