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Coronavirus, antidoti letterari: "Cecità" di Saramago torna attuale

Leggere o rileggere “Cecità” oggi, ai tempi del Coronavirus, è un’esperienza surreale: un mondo distopico, quello immaginato dal Premio Nobel José Saramago, che sembra quasi trasformarsi in realtà; certo, non tutto passa dalla fiction alla verità, ma le similitudini sono tante e fanno riflettere. 

Partiamo dal libro, che forse non tutti conoscono: pubblicato per la prima volta nel 1995 a Lisbona e portato in Italia da Feltrinelli, il romanzo dello scrittore portoghese immagina una pandemia globale di cecità; tuttavia, non si tratta di una malattia di cui siamo già a conoscenza, bensì di qualcosa di nuovo e inspiegabile, chiamato “mal bianco” per il tipico colore latteo che i nuovi ciechi iniziano a vedere davanti a sé, quasi fosse una coltre posta a coprire il mondo. Così, a partire dal caso di un singolo uomo, tutti coloro che entrano in contatto con lui diventano improvvisamente ciechi, vittime di un contagio fatale e incomprensibile. 

All’inizio si pensa di risolvere il problema internando i ciechi e i potenziali infetti in un ex manicomio, sotto la stretta sorveglianza di un esercito autorizzato ad applicare regole disumane: non verranno fornite cure né medicine, non si interverrà in caso di incendio, non si riporterà l’ordine se scoppieranno risse e per nessun motivo sarà consentito uscire dall’edificio, pena la fucilazione immediata. Ben presto, all’interno dell’ex manicomio gli individui, costretti a vivere insieme nella disperazione e in un crescente stato di fame e sovrappopolamento, finiranno per fallire in ogni tentativo di democrazia e organizzazione, regredendo piuttosto alla natura più bestiale, cinica, egoista e indifferente dell’essere umano, quella in cui vige soltanto la regola del più forte. 

Una sola persona, la moglie dell’oculista che tentò per primo di curare i malati senza successo, continua a mantenere la vista: la sua scelta sarà tuttavia quella di seguire il marito nella quarantena e poi di restare per aiutare i ciechi. Il suo personaggio, insieme al cane delle lacrime, è il principale simbolo di amore e di solidarietà umana che l’autore inserisce nel libro, sebbene anche lei sarà costretta a macchiarsi di terribili crimini per garantire la sopravvivenza delle persone che ama, o semplicemente perché spinta dalla vendetta per gli abusi subiti. 

“Cecità” è un romanzo forte, crudo, denso di metafore e significati celati tra le righe, molti dei quali li ritroviamo oggi più che mai attuali. “Non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo. Ciechi che, pur vedendo, non vedono”; come a dire che viviamo in una società assuefatta all’indifferenza nei confronti dei continui orrori da essa stessa commessi. Di fronte al dilagare dell’epidemia, il sistema sociale già fragile collassa, tutto è caos ed è allora che vengono portati all’estremo gli istinti più beceri dell’uomo, messo di fronte alla mera necessità di sopravvivere: la violenza, le necessità personali prima di quelle collettive, ma soprattutto l’indifferenza nei confronti di chi non può aiutarci, né servirci; che muoia pure, non ne abbiamo bisogno. 

Attraverso l’evolversi di una pandemia improbabile, ma non impossibile, Saramago ci racconta una situazione che potrebbe essere, un giorno, reale; basterebbe forse una malattia più grave di questa, lo scatenarsi del panico generale, la caduta delle regole che mantengono in piedi la società ed eccoci regrediti al pari delle bestie, se non peggio. 

Sono davvero tanti i passaggi in cui si riscontrano incredibili somiglianze tra la situazione attuale e quella immaginata dall’autore, sebbene – vale la pena dirlo – le autorità, i medici e i cittadini reali stanno dimostrando, per ora, una volontà di sconfiggere il male e un senso solidale maggiore rispetto a quello ipotizzato nel libro. In particolare, colpisce il discorso che lo scrittore fa fare al capo del governo, in alcuni punti del tutto aderente a quello che abbiamo ascoltato solo pochi giorni fa dal Premier Conte: “Il Governo è perfettamente consapevole delle proprie responsabilità e si aspetta da coloro ai quali questo messaggio è rivolto che assumano anch’essi, da cittadini rispettosi quali devono essere, le loro responsabilità, pensando anche che l’isolamento in cui ora si trovano rappresenterà, al di là di qualsiasi altra considerazione personale, un atto di solidarietà verso il resto della comunità nazionale”.

In “Cecità” la pandemia è il fallimento totale di ogni forma di organizzazione e civilizzazione, nonché dell’essere umano nella sua capacità di amare, rispettare, empatizzare. Nella realtà, ci auguriamo che si dimostrerà una fonte di crescita e qualcosa da cui imparare. 

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