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DeLillo,Il silenzio: preferiamo vivere con un virus mortale che senza telefoni

Don DeLillo, Il silenzio: una profezia sul futuro che è già il nostro presente

Don DeLillo è sempre stato un visionario con un’inquietante capacità di preveggenza, ma il tempismo del suo nuovo libro, Il silenzio, è straordinario. Ha finito di scriverlo a marzo 2020, mentre New York, la sua città, entrava in lockdown da coronavirus, demolendo la barriera tra finzione e realtà del suo racconto.

Ambientato nel 2022, raffigura un mondo in cui il ricordo del "virus, della peste, delle mascherine, delle strade svuotate" è ancora fresco, tra marciapiedi silenziosi e ospedali pieni.  La causa, però, non è una pandemia. E nessuna la conosce. Perché nessuno ha i mezzi per poterlo fare. Le linee sono morte, gli schermi spenti, la tecnologia ha improvvisamente smesso di funzionare.

In un appartamento dell’East Side a Manhattan, Diane Lucas, una professoressa di fisica in pensione, suo marito, Max Stenner, appassionato di calcio e giocatore d'azzardo, e l’ex studente geniale e visionario Martin Dekker siedono davanti alla tv in attesa dell'arrivo dei loro amici Jim e Tessa, in volo da Parigi, per guardare tutti insieme il Super Bowl. All’improvviso, non annunciato, misterioso, il silenzio. Tutta la tecnologia digitale ammutolisce. Internet tace. I tweet, i post, i bot spariscono. Gli schermi, tutti gli schermi, che come fantasmi ci circondano in ogni momento della nostra esistenza, diventano neri. Le luci si spengono, un blackout avvolge nelle tenebre la città (o il mondo intero?). L’aereo è costretto a un atterraggio di fortuna. E addio Super Bowl. Cosa sta succedendo? È l’inizio di una guerra, o la prima ondata di un attacco terroristico? Un incidente? O è il collasso della tecnologia su se stessa? I tentativi di questi individui di rassicurarsi a vicenda nei momenti successivi alla morte dei loro telefoni sono scoraggianti. Poi la paura inizia a perseguitarli. E con essa le teorie del complotto, il sentore di quelle cospirazioni tanto care a DeLillo.

Un avvertimento per il futuro? "No, non la vedo in questo modo" spiega lo scrittore al Guardian, che lo ha intervistato in occasione dell’uscita del libro, in Italia pubblicato a febbraio da Einaudi. "È solo una finzione ambientata nel futuro. Immagino che tutto sia iniziato con l'idea del Super Bowl. Mi chiedevo cosa succederebbe se all’improvviso ci fosse un blackout universale".

L’idea per gli è venuta in aereo, su un volo Parigi-New York, stimolata dalla lettura della teoria della relatività ristretta di Albert Einstein. Tra le pagine de Il silenzio, il lettore è obbligato a rivedere se stesso e la propria mediocrità, ammettere di essere più capace di convivere con un virus mortale che senza lo smartphone.

DeLillo, da parte sua, ammette di non essere un amante della tecnologia. Lavora su una macchina da scrivere, una vecchia Olympia di seconda mano acquistata nel 1975. “Quello che mi piace è che ha caratteri grandi, e questo mi permette di guardare chiaramente le parole sulla pagina, e quindi di trovare una connessione visiva tra le lettere nella parola, e tra le parole nella frase”. Parlando della sua età e del suo futuro da scrittore, confessa: “Non sono più vecchio e più saggio. Sono solo più vecchio e più lento. Ho messo tutto quello che avevo in questo libro. Ce ne sarà un altro? Bella domanda. Mi chiedo, all'età di 83 anni, cosa può esserci dopo, e non ho una risposta. Al momento, sto parlando con traduttori e altri di questo libro. Quando tutto sarà finito e avrò, in teoria, una mente più lucida, vedremo se lassù sta succedendo qualcos'altro. Ma sì, con Il silenzio, avevo lo stesso desiderio di premere i tasti, di guardare le parole, di andare avanti, non importa quanto tempo ci vuole".

Don DeLillo, biografia: “Ho deciso che avrei continuato a scrivere anche se nessuno mi avrebbe pubblicato”

Don DeLillo
 

DeLillo è nato nel Bronx nel 1936, figlio di immigrati italiani; sua nonna non ha mai imparato l'inglese. Dopo una laurea in comunicazione, ha lavorato come copywriter per l'agenzia pubblicitaria Ogilvy & Mather, un lavoro che ha lasciato per diventare scrittore. Americana, il suo primo romanzo, venne pubblicato nel 1971, ma fu solo negli anni Ottanta che la gente iniziò a parlare di lui come “uno dei grandi”.

Lo stesso DeLillo non vede alcun collegamento tra i cartelloni pubblicitari della sua infanzia nel Bronx, la sua carriera nella comunicazione e la sua narrativa. Crede che il suo attaccamento alle immagini sia da ricondurre a tutti i film che ha visto mentre stava lavorando ad Americana, specialmente quelli in bianco e nero.

“Ho iniziato, molto lentamente, a lavorare al mio primo romanzo e dopo due anni ho deciso che anche se nessuno l’avesse mai pubblicato, avrei continuato. E così ho fatto, e sono stato fortunato: il primo editore a vederlo lo ha preso, e da allora sono stato fortunato. Sono un ragazzo del Bronx, abituato a ogni tipo di sfide. Ma sentivo che stavo andando bene e che avrei continuato a fare bene fintanto che avessi seguito la mia intuizione".

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