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Libri & Editori
Roberto Keller: "La nostra è un'editoria che cerca la cultura oltre i confini"
Roberto Keller fotografato da Lucia Baldini

Il fenomeno delle concentrazioni nel mercato dell’editoria ha interessato l’Italia a partire soprattutto dagli anni Sessanta, ed è tuttora in atto. Tuttavia, e proprio in quegli anni, in contrappunto con i processi di aggregazione, si affacciavano sul mercato nuove piccole case editrici con una visione e un’identità molto marcate, che, con fatica e pervicacia, si sono conquistate il loro spazio a discapito dei grandi marchi.

Non sorprende, perciò, che gli ultimi dati forniti dell’AIE (Associazione Italiana Editori) relativi al primo trimestre 2021 (consultabili qui) confermino la rincorsa dei piccoli e medi operatori che rappresentano ormai il 54,1% (nel 2011 erano al 39,5%) del mercato, superando complessivamente i giganti storici. Forse perché nel settore dei libri ci sono due parole che fanno la differenza: qualità e originalità.

E, da questo punto di vista, l’editoria cosiddetta indipendente segna molti punti a suo favore,  e non solo su prodotti cosiddetti highbrow, spesso di limitato ritorno economico, ma anche per aver azzeccato, con fiuto, futuri bestseller: da Elena Ferrante pubblicata da E/O alla Nothomb di Voland, da Manuel Vilas e Jonathan Safran Foer di Guanda all’amatissimo Kent Haruf proposto da NN, per citarne solo alcuni.

Uno degli ultimi ad affermarsi, nel 2005, è stato un coraggioso editore di Rovereto, Roberto Keller, che in pochi anni ha imposto una sua linea editoriale demarcante e originale, con uno sguardo preciso a quei territori di confine che raccolgono microcosmi inaspettati e fecondi, che si collocano all’interno del mondo frastagliato e ancora poco conosciuto dell’ex impero austroungarico e, al di là di quello, del mondo ex-sovietico.

Gli inizi, come tutti,  difficili e poi, nel 2009, succede l’impensabile: la tedesco-romena Herta Muller vince il Nobel e Keller è l’unico editore in Italia ad avere un suo libro – Il paese delle prugne verdi – in catalogo. Un colpo di fortuna…

Sì, forse troppo… – chiosa Keller ad Affaritaliani –  Mi sono trovato a dover stampare dall’oggi al domani 20.000 copie, neanche sapevo come pagarle… La Keller è nata dall'idea di fare qualcosa che mi piaceva: una editoria di ambito sovraregionale, su territori poco esplorati in sintonia con le mie passioni personali. Il nostro approccio al tema dell'identità parte proprio dai confini: non quelli subìti, sanciti dalle guerre e battaglie del '900, ma quelle aree culturali permeabili e interessanti che esistevano al di là del passaggio da una nazione all'altra. Questa ricerca si è condensata in un catalogo che mi sembra oggi piuttosto originale. L'editore ragiona come l'acqua, che porta con sé le cose, i frammenti dei territori che attraversa e poi magari si divide in più rigagnoli e non sai neppure tu dove andrà a finire… Le realtà culturali sono molto più numerose di quelle nazionali. Anche in Italia si parla Italiano tedesco, sloveno, francese... E' un panorama molto interessante e che rende unica l'Europa rispetto ad altre regioni e altre letterature”.

Lei viene da una tradizione famigliare di editori?

No, assolutamente. Ho scelto di fare l'editore perché penso sia un mestiere libero, che ti consente di focalizzarti sui progetti in cui credi, molto vicino alla mia curiosità e voglia di indagare. Vengo da studi umanistici e ho voluto approfondire questa esperienza andando alla Marcos Y Marcos. Poi ne sono uscito e ho costituito la mia casa editrice. Certo, affrontare la gestione di un'impresa implica acquisire anche competenze molto diverse. Farà quasi sorridere ma c’è stato un momento in cui mi sono reso conto che le imprese cavalleresche impossibili dei poemi cinquecenteschi e la gestione di una casa editrice avevano proprio in comune la necessità di una dedizione totale.

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Vi è nell’editoria italiana una certa dimenticanza delle letterature dell’Europa centrale e dell’est che sono invece fondamentali nella sua proposta editoriale. E’ sempre per l’interesse a varcare nuovi confini?

E' evidente che vi sono connessioni più facili con le letterature occidentali, predominanti a partire da quella americana, anche se vi è un legame storico molto forte anche tra Italia e Germania nel '900, sul piano culturale e per gli eventi drammatici della guerra. Forse la narrativa tedesca ha pagato nel lettore italiano il preconcetto di una letteratura difficile, che richiede un impegno, anche se è molto variegata e ricca, con un'editoria molto importante e una saggistica di altissimo livello. Partendo da lì si sono allargati gli interessi e sono emersi i vari paesi dell'ex impero austroungarico, balcanici, dal centro Europa fino alla Russia. Le connessioni non sono mai chiare all'inizio:  in tutti i libri pubblicati dalla Keller c'è sempre una forte componente  geografica e storica dei paesi da cui provengono.

Paesi in cui sembra emergere, molto più che in Italia, una forte attenzione alle tematiche sociali e storiche…

Noi abbiamo una visuale limitata della letteratura straniera, che si basa sulle opere tradotte, quindi un campione parziale. E' vero tuttavia che sia in Germania, sia nei paesi del centro ed est Europa il dibattito culturale sta ancora facendo i conti con il proprio passato, in modo diverso da come avviene in Italia. In quei paesi che hanno provato l'appartenenza all'area comunista esistono tuttora timori e paure diffuse. La letteratura ci ha fatto capire qualcosa di più su come temano di sparire tra i due blocchi dell'Europa continentale e della Russia.  E lo raccontano in vari modi, anche con un piglio picaresco e ironico. Alcuni libri, poi, riescono ad aprire un dibattito a livello nazionale, come Clemens Meyer con il suo Eravamo dei grandissimi che è una testimonianza importante su cosa è stata la Germania Est dopo la caduta del muro ormai su più generazioni. Tra l'altro pubblicheremo tra non molto Im Stein, la sua ultima opera in cui affronta ancora più vigorosamente temi sociali come il traffico di droga e la prostituzione.

Le tematiche sociali sono in effetti molto presenti nel vostro catalogo. Penso anche all'opera del francese Sorj Chalandon sul disastro minerario di Liévin da poco pubblicata…

Chalandon è uno degli autori francesi più amati e premiati e in Il giorno prima racconta l'ecatombe in miniera di 42 morti avvenuta nel 1974. La tragedia viene però affrontata in modo originale, tra romanzo sociale e poliziesco. Sul tema del lavoro pubblicheremo a breve anche il bellissimo romanzo di Anja Kampmann Dove arrivano le acque che racconta il dramma di una morte in una piattaforma petrolifera nell'Atlantico e del pellegrinaggio che il protagonista compie verso la famiglia dello scomparso in Ungheria e poi nel bacino della Ruhr, simbolo potente dell'industria carbonifera europea, dove ha trascorso l'infanzia. Un affresco poeticissimo di quello che è il mondo del lavoro oggi.

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Oltre alla narrativa, Keller è particolarmente attiva nella saggistica e nei reportage. Come nasce questo interesse?

Mi sembra che sia anch'esso parte del progetto  di una casa editrice che si propone di attraversare i confini, studiando quello che essi racchiudono, le loro diverse microculture. Noi abbiamo due collane di saggistica, di cui «K Essay«, l'ultima nata, si occupa di saggistica internazionale,  mentre con «Razione K» abbiamo aperto un filone dedicato al reportage narrativo che si muove tra giornalismo, letteratura di viaggio e approfondimento. E' un genere che trovo attualissimo e che interessa molto i giovani, come ci rendiamo conto nei nostri laboratori estivi nei rifugi sul Pasubio, al confine tra Veneto e Trentino, nei quali organizziamo giornate di confronto con autori fondamentali di questo genere, come ad esempio Martin Pollack, Gauss. Di Pollack è appena uscito un titolo importante, Topografia della memoria di Pollack,  e a breve pubblicheremo anche due opere su cui puntiamo molto: Il fungo alla fine del mondo di Anna Lowenhaupt Tsing, un libro iconico di riflessione sul futuro dalla storia a partire da alcuni funghi giapponesi molto apprezzati e Orsi danzanti di Witold Szabłowski, una sorta di metafora che l’autore usa per indagare i paesi ex comunisti.

Programmi futuri?

Saremo sicuramente al Salone del libro di Torino e a settembre al Festival di Mantova. E questa volta dovrebbe essere fisicamente… C'è da dire che molte modalità di comunicazione che si sono affermate nel periodo della pandemia sono destinate a rimanere e sono il segno di come gli editori e i librai italiani hanno affrontato l'emergenza con grandissima vitalità e creatività.

Roberto keller foto lucia baldiniRoberto Keller fotografato da Lucia Baldini
 

 

 

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