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m5s, Luigi di Maio a "Harvard": tutti i retroscena di una farsa annunciata

Tecnicamente, la visita di Luigi Di Maio a Boston è stata un flop clamoroso. Nell'auletta dell'Ash Center (non esattamente l'aula magna della storica facoltà di Legge...) di Harvard, davanti a una piccola platea di studenti perlopiù europei e perlopiù italiani, il vicepresidente della Camera ha praticamente letto - male - un testo in inglese preparatogli in precedenza, esordendo con un errore madornale nell'unico tentativo di andare a braccio, e ha risposto laconicamente in italiano alle traduzioni dell'interprete. 
Dalla platea, non esattamente entusiasta né travolta dalla passione, si sono levate alcune contestazioni, in un caso zittite e censurate dal moderatore, il rettore della John F. Kennedy School of Government, Archon Fung. 
Al coraggioso studente che aveva cercato di spiegare esattamente la natura opaca del m5s ai presenti ignari (o agli italiani fuori sede già simpatizzanti), confutando gli infiorettamenti del discorso di Di Maio, è stato tolto quasi immediatamente il microfono, con buona pace della libertà di parola e di espressione, di cui quella scuola intitolata a John Kennedy doveva essere l'epitome. 
A salvare dal disastro è però prontamente giunto un docente di Harvard, l'italiano Francesco Erspamer che si è detto "convinto da Luigi Di Maio" (Di Maio che prima, a suo dire, il professore conosceva poco) e che ha liquidato i contestatori come italiani in gita turistica. Peccato che una facile ricerca in rete abbia stabilito che Erspamer aveva già espresso moltissime volte il suo sostegno al m5s, e in particolare alla giunta Raggi, tanto da arrivare a scrivere nel settembre 2016, ovvero ben otto mesi prima della visita di Di Maio a Boston: "Non ho mai votato M5S ma lo farò: è un minimo atto di riparazione per aver contribuito involontariamente all’affermazione del regime renziano votando in passato per il Pd. Altri preferiscono far finta di opporsi al renzismo limitandosi a criticarlo e criticando al tempo stesso (e quasi sempre con maggior passione) i grillini e qualsiasi opposizione. E bevendosi con entusiasmo le menzogne della Repubblica: che ieri ha falsamente annunciato le dimissioni del ragioniere generale del Comune di Roma". 
Vari suoi scritti, inoltre, erano già stati ospitati da siti facenti capo al m5s e alla galassia di Tze Tze, che fa capo alla Casaleggio & Associati. Se poi si dà uno sguardo alla sua bacheca facebook, si vedono parecchi entusiastici endorsement al Movimento Cinque Stelle (e da parecchio tempo), e virulenti attacchi al Pd e a Matteo Renzi.  Insomma, alla luce di tutto questo, ci riesce difficile credere a una "folgorazione sulla via di Di Maio". 
La visita americana del vicepresidente della Camera, sbandierata dai mass media come un evento epocale, fondato sulla presunta curiosità degli USA verso il m5s e Di Maio, assume dunque sempre più i connotati di un sapiente stratagemma per accreditare il Movimento Cinque Stelle e il suo "virgulto" non negli Stati Uniti, bensì in Italia. Nell'Italia che conta culturalmente, quella degli intellettuali, quella più istruita, quella degli accademici che hanno sempre storto il naso sull'impreparazione e l'improvvisazione dei "meravigliosi ragazzi". Questa tesi viene corroborata anche dalle dichiarazioni di Edward Luttwak, secondo cui "agli americani il m5s non interessa minimamente". 
Se si pensa che Harvard, ufficialmente, raggiunta da una mail qualche tempo fa, non sembrava neppure al corrente di una imminente visita di Luigi Di Maio, e che l'invito è in realtà partito da un laboratorio formato da studenti europei, si comprende quanto la trasferta fosse stata esponenzialmente magnificata dal m5s. 
Si potrebbe peraltro obiettare sul fatto che la visita di Di Maio aveva lo scopo di "vendere" il m5s oltreoceano nonché la piattaforma Rousseau brevettata dalla Casaleggio & Associati, un'azienda privata. E, alla luce di tutto ciò... chi ha pagato il viaggio e il soggiorno di Luigi Di Maio e del suo seguito? Almeno quattro persone fra cui il videomaker della Camera (l'omologo del camionista Nik il Nero, tanto per intenderci), e l'ombra del vicepresidente della Camera, ovvero Vincenzo Spadafora, ex garante per l'Infanzia ed ex presidente Unicef (da cui ci piacerebbe tanto sapere cosa pensa degli attacchi e insulti rivolti all'associazione dalla platea grillina dopo le parole di Di Maio sulle ONG). 
Siamo sicuri che Harvard o chi per essa si sia sobbarcata viaggio e soggiorno di almeno cinque persone fra cui Di Maio? Gradiremmo infatti avere rendicontazione da colui che rappresenta il "movimento della trasparenza".
Ma se anche "Harvard" si fosse presa carico dei costi dell'operazione, quest'ultima è in realtà tutt'altra cosa rispetto a com'è stata presentata dai mass media italiani. Per dirlo in parole povere, parrebbe più un elaborato stratagemma volto a sdoganare "accademicamente" Di Maio in vista della sua possibile candidatura a premier. Sdoganarlo in Italia, però, e non negli Usa. E per far dimenticare svarioni, errori di sintassi, scarsa dimestichezza con la lettura delle mail, con la Storia, la Geografia e così via. 
E, alla luce di tutto ciò, resta il sospetto che il nome di Harvard, in tutto questo, sia stato abilmente utilizzato per la solita operazione mediatica da parte del m5s. E il fatto che allo studente che cercava di raccontare la verità dei fatti sia stata immediatamente tolta la parola sembra confermare questa inquietante ipotesi
 

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