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Andrea Scanzi difende Claudio Amendola, che elogia Matteo Salvini.

Il potere del potere fa miracoli.

E così, dopo una esistenza passata a caratterizzarsi come a sinistra più a sinistra di ogni sinistra, Claudio Amendola, rustico epigono rosso della Garbatella ha incontrato, sulla via dei Fori Imperiali, Matteo Salvini da Milano e come un novello San Paolo si è convertito al credo di coloro che prima perseguitava con tanta foga e determinazione proletaria, pur non rinunciando ai sui agi e ai suoi lussi derivati dalla ricchezza.

È fu così che “Amendola il Rosso” finì per elogiare -da L’Aria che tira- l’Homo novus Salvini che fino a poco tempo fa aveva tacciato di tutte le nefandezze con in primis, naturalmente, il razzismo.

Conversioni così istantanee non sono una rarità in Italia, ma mai che avvengano, chissà perché, nel verso opposto e cioè dal vincitore al vinto, ma in definitiva Amendola avrà pensato che anche Benito Mussolini, duce del fascismo, prima di diventarlo era stato uno dei più importanti socialisti internazionali e lui poteva essere forse da meno?

Ma quello che sorprende non è solo la conversione di Amendola, ma il relativo endorsement di un giornalista di sinistra, adorato dai fan per essere un modello e prototipo di sinistrismo intransigente e cioè Andrea Scanzi de Il Fatto Quotidiano che ha tuonato contro:

“le anime candide della sinistra presunta, che ancora non hanno capito una mazza di quel che è accaduto il 4 marzo”.

E quindi il regolamento di conti con la Repubblica rappresentata per l’occasione da Corrado Augias e Vittorio Zucconi che non hanno capito “una mazza”, lui invece sì.

Quindi, proseguendo una perigliosissima arrampica sugli specchi dell ’Everest ha attaccato tutti quelli che hanno semplicemente preso atto dell’evidenza, insultandoli:

“Applicare l’equazione “leghista-Amendola” significa soffrire di analfabetismo funzionale. Oppure essere intellettualmente disonesti”.

Forse sono invece Amendola e Scanzi che dovrebbero smetterla di pensare che i colleghi e il popolo italiano siano così fessi da bersi la favoletta della mancata equazione: qui non si tratta in effetti di matematica, ma di triste realtà di un fenomeno ben noto e cioè quello che gli ornitologi politici chiamano irrispettosamente (per i volatili) “salto della quaglia”.

 

 

 

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