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Fake news, ascoltare tutti come se raccontassero belle favole

 

Non val la pena di seguire le polemiche sulle fake news. La prima ragione è che non se ne può più di quei compatrioti che, non conoscendo l’inglese, invece di dire bugie, invenzioni, menzogne, serpenti di mare, bufale, o semplicemente notizie false, sentono il bisogno irrefrenabile di parlare di fake news. Il fastidio è tanto più grande in quanto è noto che chi conosce una lingua straniera non la usa se sta parlando un’altra lingua. Rivolgendosi a un italiano, un tedesco non userebbe mai le parole Weltanschauung o Schadenfreude. Solo un italiano che non conosce il tedesco lo farebbe.

Inoltre, per un problema così futile, c’è un rimedio radicale: la diffidenza. Se apprendiamo una notizia interessante, e la fonte è arcinota e affidabile, ciò malgrado la prima cosa da fare è controllarla. I giornalisti che non conoscono l’inglese chiamano questo “fact checking”, le persone normalmente colte usano una sola parola: “verifica”. Se i libri di storia sono ingombri di bibliografia, citazioni e note, è perché essi non devono soltanto riferire i fatti, ma spiegare come li hanno appresi, dando la possibilità ai lettori di ripercorrere il cammino e verificare a loro volta la notizia. A tutti può capitare di raccontare una balla soltanto perché si è creduto alla persona o al testo che ce l’ha raccontata. Forse Tito Livio ha creduto vero tutto ciò che ha scritto ma la facilità con cui ha preso per buona la tradizione o ciò che gli è stato raccontato ha fatto sì che nessuno lo consideri affidabile, soprattutto per l’epoca più antica. Né diversamente sono andate le cose per Svetonio, un brillantissimo giornalista ma certo non il più affidabile degli storiografi.

Nel dubbio è meglio non credere a niente di ciò che si legge, soprattutto quando chi scrive ha una partecipazione affettiva al fatto narrato. Vale anche per le intere collettività. Un buon esempio è il fascismo. A riguardo l’Italia intera è passata da un eccesso di stima ad un eccesso di condanna. Siamo al punto che si reputa verità assolutamente incontestabile che “Mussolini ha fatto uccidere Matteotti”, mentre una persona ragionevole in materia può dire soltanto: “Non lo so, ma non credo”. Analogamente tutti sono convinti che Gramsci sia morto in carcere e non è vero. Può dispiacermi, e mi dispiace, che la Chiesa abbia condannato al rogo Giordano Bruno, ma la storia seria insegna che la Chiesa ha fatto di tutto per dargli la possibilità di salvarsi. Ma quanta gente lo sa?

E se tutto questo vale per fatti del lontano passato, sui quali è normale che si sia depositata la polvere della storia, con quale coraggio si può affermare che il tale imputato è innocente o colpevole? Per lo storico nemmeno la sentenza che conclude il processo è una prova sufficiente, perché esistono gli errori giudiziari. Ma questa per Marco Travaglio sarebbe una fake news.

E parlando di storia e del pericolo di credere “evidentemente veri” certi fatti, un esempio eccellente è la vicenda delle fosse di Katyn. Durante la Seconda Guerra Mondiale i nazisti si imbatterono in fosse in cui erano stati seppelliti circa ventimila ufficiali e civili polacchi. Temendo di essere accusati dell’eccidio (magari l’unico di cui non erano colpevoli) i nazisti chiesero un accertamento da parte di una potenza neutrale e degli svedesi certificarono che le morti risalivano al periodo in cui quella parte della Polonia era stata invasa dai russi. Naturalmente la cosa non tornava ad onore dei sovietici, i quali negarono la loro responsabilità e dissero che i colpevoli erano i nazisti. La bugia era grande quanto una casa, ma non soltanto essa fu creduta da tutti i russi (i quali non disponevano di documenti indipendenti) ma anche da tutti i comunisti occidentali. Semplicemente perché i comunisti non potevano che avere ragione e i nazisti non potevano che avere torto. Per arrivare al momento in cui anche i russi hanno ammesso la responsabilità di quel massacro si è dovuto attendere oltre mezzo secolo. E ancora oggi i russi evitano di parlarne.

Il problema non è a quali notizie non credere, il problema è a quali notizie credere. Nel dubbio bisogna ascoltare tutti come se raccontassero belle favole. Poi, se viene provato che realmente i trecento spartani alle Termopili si batterono come leoni, morendo fino all’ultimo, ci leveremo il cappello. Ma non prima di avere ricordato che in quella battaglia dal lato dei greci non erano affatto trecento, perché gli spartani combatterono con migliaia di alleati magari meno formidabili, come guerrieri, ma che non fecero una fine migliore. E non parliamo delle balle che l’Italia si racconta da sessant’anni sulla Resistenza.

Non mi resta che invitarvi a non credere una parola di ciò che ho scritto.

giannipardo@libero.it

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